di Ettore Martinez
“L'opera
di Motzo si colloca, perciò, a metà strada fra la memorialistica e
la storiografia militare vera e propria” scrive Manlio Brigaglia
nella sua breve e bella Introduzione a questo libro. Il
testo è infatti a tratti piuttosto tecnico e non è sempre agevole
orizzontarsi bene fra tutti gli spostamenti di divisioni, reggimenti,
battaglioni e persino compagnie. Esso non si esaurisce quindi nelle
frequenti avvincenti descrizioni impressionistiche di situazioni e
ambienti e fenomeni atmosferici, che pure sostanziano il libro di
elementi narrativi. Per questa ragione il libro di cui stiamo
parlando viene unanimemente considerato il migliore testo
sull'argomento dal punto di vista della Storia militare.
“Gli
intrepidi Sardi della Brigata Sassari” ebbe la sua prima edizione
nel 1930 ma non vi si trova alcun accenno al Fascismo: Mussolini
viene citato una sola volta insieme a Corridoni in relazione al
capitano Deffenu, in quanto tutti e tre socialisti interventisti. C'è
anche da dire che non mancano righe altamente elogiative nei
confronti di Emilio Lussu, antifascista che allora si trovava in
esilio. Motzo non ne fa esplicitamente il nome ma ce lo descrive in
maniera tale da non lasciare adito a dubbi.
Eviterò
ovviamente di ripetere gli episodi, alcuni neanche tanto noti al
grande pubblico, nei quali vengono fotografate e valutate le
caratteristiche salienti degli uomini della Sassari e rivissuti
momenti fortemente drammatici. I Sardi della Sassari, compresi quelli
che sardi non erano, fra gli ufficiali: uomini “fatti apposta per
questa guerra d'imboscata” (p.226), che come è noto avevano
riprodotto sul fronte tutta una serie di costumanze tipiche dei loro
paesi, compresi i canti a tema. Spesso a corto di munizioni si
lanciavano all'arma bianca contro il nemico riuscendo a volte
addirittura a rovesciare le sorti del combattimento proprio quando
sembravano perse. Ci riferiamo, per esempio, agli episodi che videro
protagonisti il capitano Fiumi (un contrattacco) e lo stesso Emilio
Lussu (rottura di accerchiamento), in due diversi momenti della
guerra.
Come
è noto, a Pozzomaggiore (SS) i reduci daranno inizio al loro ritorno
dalla guerra alla tradizione di una corsa di cavalli come quella di Sedilo, per
ringraziare il cielo di essere tornati vivi da questo immane bagno di
sangue e racconteranno di essersi battuti spesso, senza più
munizioni, all'arma bianca -ma non tanto con la baionetta, bensì con
la leppa, con la pattadese.
Tornando
al libro, un episodio che comunque voglio evocare e che viene
raccontato con forte tensione emotiva da Motzo è quello della
battaglia di retroguardia avvenuta a Codroipo poco dopo la rotta di
Caporetto, in quella che fu una specie di Stalingrado “ante
litteram” in scala ridotta. Qui la coda della Brigata Sassari, che
si trovava alla retroguardia di un esercito, quello italiano, in
parte in ritirata in parte in rotta, fu aggredita da truppe scelte
tedesche in avanzata, proprio mentre stava per abbandonare la piazza
del paese. La reazione diede luogo a un feroce combattimento casa per
casa, orto per orto, strada per strada. Va tenuto presente anche che
“proprio in quei giorni circa il 50% (grosso modo) degli effettivi
si trovava in licenza in Sardegna per partecipare alle 'paci di
Posada' che posero fine alla grande faida di Orgosolo” (Mauro
Scorzato).
Insomma,
successe anche questo infine, che lo stato italiano e l'alto comando
riconobbero valore, dignità e utilità a questa riconciliazione al
punto di privarsi di tanti soldati di élite proprio in un momento
militarmente così difficile come quello.
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