venerdì 15 dicembre 2023

"Hitler Il figlio della Germania di Antonio Spinosa", Mondadori, 1991. Una nota di Antonello Ruscazio


 


Ovviamente questo è argomento sul quale sono state scritte intere
biblioteche, ma il libro risulta interessante perché tratta in maiera
molto più estesa che in altri testi i rapporti tra la Germania nazista e
l’Italia fascista o, meglio, tra quelli che i cinegiornali dell’epoca
chiamavano i due “Condottieri”.
Mostra quindi in maniera chiara come si siano rovesciate le parti dal
1933, quando Hitler salì al potere guardando a Mussolini come guida ed
esempio, sino agli anni dopo il 1940, o meglio, il 1938, quando le parti
si rovesciarono e fu Mussolini ad essere succube di Hitler.
Questo accadde, oltre ad altre cose ovviamente, anche perché il “Duce,
che aveva passato alcuni anni in Svizzera come “migrante”, diremmo oggi,
si piccava di conoscere benissimo il tedesco e durante i colloqui
riservati con il dittatore tedesco rifiutava l’interprete: pertanto
questi colloqui si risolvevano in interminabili mnologhi da parte di
Hitler, senza un vero contraddittorio.
Naturalmente, come nei libri di tutti i giornalisti che scrivono libri
di Storia, molti dettagli sono clamorosamente sbagliati e fanno molto
riferimento ad una “vulgata” corrente, che rischia di dare nozioni
sbagliate al lettore.
Ad esempio, pag. 468:
“Invece i suoi generali, come diceva il maresciallo von Paulus,
temevano l’apertura di un secondo fronte…”  
Errore doppio.
Prima di tutto von Pulus non era von Paulus ma era Friedrich Wilhelm
Ernst Paulus (Guxhagen, 23 settembre 1890 – Dresda, 1º febbraio 1957) e
basta, non facendo l’ufficiale tedesco parte della nobiltà terriera
prevalentemente prussiana, essendo figlio di un ragioniere.
Questa svista non è una noiosa pedanteria, perché occorre mettere in
evidenza i burrascosi rapporti che Hitler ebbe con i suoi generali e in
particolare la predilezione che Hitler sempre ebbe per i generali venuti
su “dal popolo” (come Rommel, figlio di un insegnante) rispetto a quelli
facenti parte della casta degli “Junkers”, dei quali però non poteva
fare a meno per le loro straordinarie capacità professionali.
Sicuramente Paulus era un generale coscienzioso e ben preparato ma,
come la storiografia ha ampiamente dimostrato, mancante delle doti di
personalità e di visione strategica necessarie per comandare l’Armata
più potente messa su dalla Germania nazista durante la IIa G.M.
Inoltre, in quel periodo, Paulus non era “Maresciallo” ma un semplice
“tenente generale”: venne promosso Feldmaresciallo pochi giorni prima
della resa di Stalingrado in quanto Hitler sperava, visto che nessun
Felmaresciallo tedesco si era mai arreso al nemico, che Paulus si
suicidasse, cosa che non avvenne.  
Pag. 490, parlando della seconda battaglia di El Alamein (o terza
battaglia di El Alamein per quegli autori che chiamano la battaglia di
Alam Halfa seconda battaglia di El Alamein), combattuta tra il 23
ottobre e il 5 novembre 1942:
“Le divisioni di Montgomery avevano sfondato le linee italiane del
fronte sud…” Ma neanche per idea…
Il fronte sud, tenuto dalla dalla mitica Divisione paracadutisti
“Folgore” e dalla Divisione “Pavia” tenne, anche dove la linea era
costituita da un velo, frustrando così i piani del Gen Montgomery di
accerchiare con un unico movimento aggirante tutto lo schieramento
italo-tedesco: naturalmente tutta la storiografia britannica afferma che
l’attacco a sud fu solamente dimostrativo, e che l’attacco vero e
proprio si svolse più a nord, dove avvenne in effetti lo sfondamento, in
un’area di cesura tra truppe italiane e truppe tedesche. Vista la
resistenza, il ge. Montgomery spedì il Gen. Horrocks a nord, per
completare lo sfondamento in atto. I britannici lasciarono di fronte
alla “Folgore” oltre seicento morti accertati, oltre ai feriti e e a
tutti quelli che morirono poi nelle retrovie, strage non certo da
attacco “dimostrativo”.
Pag. 516:
Ai disastri in territorio italiano, al crollo del fronte russo,
all’ecatombe dei sommergibili (gli Alleati avevano inventato il
radar) …
Il radar gli Alleati lo avevano inventato da un pezzo e di certo non
era una novità,neppure per i tedeschi, visto che lo usavano con successo
per affrontare le formazioni dei bombardieri alleati che imperversavano
nei cieli della Germania. Quello che gli alleati inventaroro era il
magnetron (inventato dagli inglesi, prodotto in quantità industriali
dagli americani), un particolare tipo di valvola termoionica che permise
la costruzione di apparati radar miniaturizzati tali da poter essere
montati sugli aerei ed operanti su frequenze talmente alte da essere
inintercettabili per gli apparati di rivelazione tedeschi di
allora. 
Il magnetron, segretissimo negli anni ’40, oggi è presente in tutte le nostre cucine dentro il forno a microonde… Insomma, un libro di piacevole lettura ma, anche se non si arriva alle piacevolezze montanelliane, talvolta fuorviante per chi abbia passione per la verità storica e per l’informazione precisa.
Antonello Ruscazio

venerdì 8 dicembre 2023

I Mille di Bandi, una recensione di Mauro Scorzato


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Giuseppe Bandi , l’estensore de “I Mille” è il classico toscano dell’800. Nella sua biografia si legge che fu laureato in Giurisprudenza ma non praticò mai,e che da buon repubblicano e mazziniano, dopo la galera di prammatica, preferì arruolarsi subito in un battaglione di volontari toscani (erano quelli tempi in cui gli studenti non irridevano i militari ma ne traevano esempio) per poi transitare nell’esercito dei Savoia (allora Armata Sarda) dopo l’annessione del Granducato.

Durante la sua prima esperienza militare ebbe a conoscere Garibaldi, di cui subito si innamorò, subendone il fascino nel modo in cui solo un uomo d’azione può subirlo. Infatti alla prima occasione preferì abbandonare L’Armata Sarda per l’avventura che lo vide, al fianco del suo leader, portare forse la più grande delle vittorie alla casata per la quale non avrebbe dovuto avere grandi simpatie. La narrazione dell’avventura dei “Mille” avviene, per sua stessa ammissione, in forma memorialistica ma, assai spesso, fa riferimento a fatti e conversazioni di cui gli venne riferito da persone, come egli stesso le definisce, “a me fidate”.

Il ritratto che ne esce dell’impresa dei Mille è senz’altro il ritratto dei personaggi che la condussero, al di là di tutte le difficoltà e di tutte le volontà avverse, di una fede ferrea che oggi, affetti come siamo dal relativismo filosofico, ci risulta incomprensibile. Smontati tutti gli dèi, con un anticlericalismo acerrimo, ma che non disdegna di assorbire quei religiosi che credano anch’essi nella causa ( all’arrivo in Sicilia tutti gli ordini religiosi, con particolare riferimento ai gesuiti, furono sciolti col primo editto), l’unica vera religione diventa la riuscita dell’impresa.

Invano il lettore cercherà dettagli militari che possano spiegare come una masnada di personaggi male in arnese, male armati, con un addestramento approssimativo, scarsi di tutto tranne che di nemici siano riusciti a sbaragliare uno degli eserciti meglio equipaggiati ed addestrati del tempo nella penisola. Ricordiamo infatti che l’esercito Borbonico fu il primo a praticare il tiro mirato anziché le “volate”, cosa di cui anche il nostro farà le spese. Sembra che tutto possa essere risolto con una carica furiosa, con una mischia feroce purché benedetta dalla presenza dell’Eroe dei due Mondi, divinizzato,ancor più che ammirato per le sue capacità di condottiero.

Solo con l’apparire di Mazzini, che ricorda a Bandi, repubblicano della prima ora, che Vittorio Emanuele II rimane pur sempre un sovrano, la fede comincia a mostrare qualche timida crepa subito ricoperta dallo stucco della fiducia sull’unità del Paese.

Solo verso la fine del libro alle formazioni garibaldine si affiancano le più ordinate e disciplinate unità dell’Armata Sarda, che in fondo snobbano (quando non proprio disprezzano) quei militari fai-da-te indisciplinati, scalcagnati ma costantemente pronti al combattimento. Pur sapendo che alla fine quelle strane figure in camicia rossa sarebbero state assorbite in quello che diverrà dopo il 1861 il Regio Esercito Italiano e sarebbero quindi ritornati ad essere “colleghi”, gli ufficiali sabaudi trovavano forse più affinità con gli sconfitti ufficiali borbonici che con quegli ufficiali parte raccolti dalla politica senza alcuna cultura militare, parte addirittura disertori dell’Armata Sarda. Rimane interessante vedere con quanta allegria venisse interpretata la diserzione a quei tempi, quando solo pochi anni dopo i disertori fronteggeranno i plotoni d’esecuzione e non a caso viene spesso citato come esempio Giovanni delle Bande nere, al secolo Giovanni de’Medici, noto Capitano di ventura).

Solo chi ha conosciuto forse più nel dettaglio la Storia dell’Esercito Italiano vedrà la nascita di quei caratteri che da allora fino ad oggi lo caratterizzeranno; da un lato gli ufficiali “sabaudi” ligi all’autorità costituita, e vicini al potere che genereranno negli anni personaggi quali Badoglio e Diaz, dall’altra i “garibaldini” che nel proseguo diverranno gli Arditi nella Prima Guerra Mondiale o gli ufficiali coloniali e le forze speciali italiane che tanto diedero filo da torcere agli anglo americani nella Seconda guerra mondiale.

Il Bandi alla fine diverrà giornalista, fonderà il quotidiano di Livorno “il Telegrafo” (che oggi si chiama “il Tirreno”). Utilizzò tutte le energie fisiche e morali per continuare a difendere quell’ideale di Italia, anche senza rifuggire da quei compromessi che nel divenire di quegli anni si rendevano necessari per perseguire il suo fine ultimo. Come tutti gli idealisti di quel tempo, gli occhi rimanevano fissi sul fine e come dirà qualcuno se mantenendo gli occhi sul fine si calpesta qualcosa di sporco, pazienza.

Terminerà la sua vita accoltellato a morte da due anarchici per la strenua difesa dei valori del Risorgimento che aveva condotto dalle colonne del suo giornale: chi prima di assassinarlo, lo aveva minacciato di morte non aveva capito il calibro dell’uomo che aveva di fronte. Se le pagine del suo libro hanno descritto la sua personalità fedelmente, non avrebbe voluto morire in nessun altro modo.

Mauro Scorzato


"Comandante", una recensione (2023) di Antonello Ruscazio del film di E. De Angelis

  Una recensione di Antonello Ruscazio " Comandante " film del 2023 diretto da Edoardo De Angelis                            ...