.......................................................................Giuseppe
Bandi , l’estensore de “I Mille” è il classico toscano
dell’800. Nella sua biografia si legge che fu laureato in
Giurisprudenza ma non praticò mai,e che da buon repubblicano e
mazziniano, dopo la galera di prammatica, preferì arruolarsi subito
in un battaglione di volontari toscani (erano quelli tempi in cui gli
studenti non irridevano i militari ma ne traevano esempio) per poi
transitare nell’esercito dei Savoia (allora Armata Sarda) dopo
l’annessione del Granducato.
Durante
la sua prima esperienza militare ebbe a conoscere Garibaldi, di cui
subito si innamorò, subendone il fascino nel modo in cui solo un
uomo d’azione può subirlo. Infatti alla prima occasione preferì
abbandonare L’Armata Sarda per l’avventura che lo vide, al fianco
del suo leader, portare forse la più grande delle vittorie alla
casata per la quale non avrebbe dovuto avere grandi simpatie. La
narrazione dell’avventura dei “Mille” avviene, per sua stessa
ammissione, in forma memorialistica ma, assai spesso, fa riferimento
a fatti e conversazioni di cui gli venne riferito da persone, come
egli stesso le definisce, “a me fidate”.
Il
ritratto che ne esce dell’impresa dei Mille è senz’altro il
ritratto dei personaggi che la condussero, al di là di tutte le
difficoltà e di tutte le volontà avverse, di una fede ferrea che
oggi, affetti come siamo dal relativismo filosofico, ci risulta
incomprensibile. Smontati tutti gli dèi, con un anticlericalismo
acerrimo, ma che non disdegna di assorbire quei religiosi che credano
anch’essi nella causa ( all’arrivo in Sicilia tutti gli ordini
religiosi, con particolare riferimento ai gesuiti, furono sciolti col
primo editto), l’unica vera religione diventa la riuscita
dell’impresa.
Invano
il lettore cercherà dettagli militari che possano spiegare come una
masnada di personaggi male in arnese, male armati, con un
addestramento approssimativo, scarsi di tutto tranne che di nemici
siano riusciti a sbaragliare uno degli eserciti meglio equipaggiati
ed addestrati del tempo nella penisola. Ricordiamo infatti che
l’esercito Borbonico fu il primo a praticare il tiro mirato anziché
le “volate”, cosa di cui anche il nostro farà le spese. Sembra
che tutto possa essere risolto con una carica furiosa, con una
mischia feroce purché benedetta dalla presenza dell’Eroe dei due
Mondi, divinizzato,ancor più che ammirato per le sue capacità di
condottiero.
Solo
con l’apparire di Mazzini, che ricorda a Bandi, repubblicano della
prima ora, che Vittorio Emanuele II rimane pur sempre un sovrano, la
fede comincia a mostrare qualche timida crepa subito ricoperta dallo
stucco della fiducia sull’unità del Paese.
Solo
verso la fine del libro alle formazioni garibaldine si affiancano le
più ordinate e disciplinate unità dell’Armata Sarda, che in fondo
snobbano (quando non proprio disprezzano) quei militari fai-da-te
indisciplinati, scalcagnati ma costantemente pronti al combattimento.
Pur sapendo che alla fine quelle strane figure in camicia rossa
sarebbero state assorbite in quello che diverrà dopo il 1861 il
Regio Esercito Italiano e sarebbero quindi ritornati ad essere
“colleghi”, gli ufficiali sabaudi trovavano forse più affinità
con gli sconfitti ufficiali borbonici che con quegli ufficiali parte
raccolti dalla politica senza alcuna cultura militare, parte
addirittura disertori dell’Armata Sarda. Rimane interessante vedere
con quanta allegria venisse interpretata la diserzione a quei tempi,
quando solo pochi anni dopo i disertori fronteggeranno i plotoni
d’esecuzione e non a caso viene spesso citato come esempio Giovanni
delle Bande nere, al secolo Giovanni de’Medici, noto Capitano di
ventura).
Solo
chi ha conosciuto forse più nel dettaglio la Storia dell’Esercito
Italiano vedrà la nascita di quei caratteri che da allora fino ad
oggi lo caratterizzeranno; da un lato gli ufficiali “sabaudi”
ligi all’autorità costituita, e vicini al potere che genereranno
negli anni personaggi quali Badoglio e Diaz, dall’altra i
“garibaldini” che nel proseguo diverranno gli Arditi nella Prima
Guerra Mondiale o gli ufficiali coloniali e le forze speciali
italiane che tanto diedero filo da torcere agli anglo americani nella
Seconda guerra mondiale.
Il
Bandi alla fine diverrà giornalista, fonderà il quotidiano di
Livorno “il Telegrafo” (che oggi si chiama “il Tirreno”).
Utilizzò tutte le energie fisiche e morali per continuare a
difendere quell’ideale di Italia, anche senza rifuggire da quei
compromessi che nel divenire di quegli anni si rendevano necessari
per perseguire il suo fine ultimo. Come tutti gli idealisti di quel
tempo, gli occhi rimanevano fissi sul fine e come dirà qualcuno se
mantenendo gli occhi sul fine si calpesta qualcosa di sporco,
pazienza.
Terminerà
la sua vita accoltellato a morte da due anarchici per la strenua
difesa dei valori del Risorgimento che aveva condotto dalle colonne
del suo giornale: chi prima di assassinarlo, lo aveva minacciato di
morte non aveva capito il calibro dell’uomo che aveva di fronte. Se
le pagine del suo libro hanno descritto la sua personalità
fedelmente, non avrebbe voluto morire in nessun altro modo.
Mauro
Scorzato