di Ettore Martinez
L'
"Accabadora" di Michela Murgia, come è noto, è un
romanzo, quindi un'opera letteraria di grande successo ispirata a un
mito che però a molti ha fatto credere che questa antica figura
femminile dispensatrice di eutanasia a colpi di mazzuola sul cuore o
sul capo del malato terminale sia effettivamente esistita. Eppure
sembra che gli ultimi studi accurati sull'argomento abbiano demolito
questo mito sul piano storico -senza con ciò niente togliere
all'opera letteraria. Allo stesso modo la descrizione romanzata,
contenuta nel film antimilitarista "Uomini contro" (1970)
di Francesco Rosi, dei fatti di monte Zebio sull'altopiano di Asiago
che hanno visto coinvolto un reparto della Brigata Sassari,
ricostruzione ispirata al racconto che ne fa Emilio Lussu, è stata
per decenni considerata storicamente veritiera. I fatti in sintesi.
Una compagnia di sassarini si trovava rifugiata il 10 giugno del 1917
in una grotta perché la linea veniva fatta segno a bombardamento in
attesa di andare all'attacco. Era soprattutto "fuoco amico",
sembrerebbe proveniente da artiglierie alleate francesi, insistito e
massiccio. Su di esso non si è mai indagato. I soldati preferiscono,
nonostante gli ordini, abbandonare il rifugio, che dà vistosi segni
di cedimento, uscirne e andare a rifugiarsi in un avvallamento
contiguo. Un maggiore che comandava il battaglione e che stava in una
grotta vicina, informato della cosa, ne pretende la decimazione per
ammutinamento. Seguono fasi concitate con gli ufficiali inferiori che
si rifiutano di assecondarlo e il sopraggiungere di altri uomini
inviati dal Comando di reggimento. Siccome il maggiore dà segni di
squilibrio e non vuole sentire ragioni, nessuno gli obbedisce; apre
allora il fuoco con la sua pistola su alcuni soldati freddandone uno
e ferendone un altro. Viene poi, a sua volta ucciso. L'episodio è
raccontato, con i nomi delle persone e della compagnia cambiati ma
riconoscibili, da Emilio Lussu ne "Un anno sull'Altopiano"
(1936/37). Il col. Lorenzo Cadeddu ha voluto dimostrare con questo
suo libro che mentre Lussu ha raccontato i fatti in maniera corretta,
Rosi li ha invece piegati agli intenti antimilitaristi del suo film.
La pellicola ha una sua coerenza argomentativa e si spiega anch'essa
nel suo contesto immediatamente successivo a piazza Fontana (Dicembre
1969); è un film che intende denunciare le crudeltà e le assurdità
della guerra e ci riesce bene - ma non è certamente un resoconto
storico fedele di quegli avvenimenti. Infatti sul monte Zebio non ci
fu nessuna decimazione. Ci fu però, dopo i fatti, un processo
militare del quale Lussu nel suo libro non parla. Di questo processo
il col. Cadeddu invece ha recuperato non senza difficoltà la
sentenza (tutti gli atti processuali di questo genere,eccettuate le
sentenze, per disposizione superiore furono distrutti) e ha
ovviamente svolto accurate indagini storiche. La sentenza mandò, e
per quei tempi non era poco, tutti assolti: il maggiore era stato
ucciso dai suoi stessi uomini perché fuori di sé, aveva già
sparato su di loro uccidendone uno e ferendone un altro, stava
ricaricando l'arma per sparare ancora, rappresentava per la truppa un
pericolo; si trattò di legittima difesa. Il libro, denso e agile nello stesso tempo, contiene alcune schede personali una delle quali è dedicata
al Generale Andrea Graziani, il tristemente famoso fucilatore della
ritirata di Caporetto. Vi troviamo anche riportate delle
testimonianze, una delle quali inedita; ed è corredato di
un'appendice contenente documenti originali di notevole interesse per
gli appassionati di Storia.
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