Alberto
Monticone[1],
il più autorevole studioso della giustizia militare durante il primo conflitto
mondiale, ci riporta che in quel periodo furono comminate dai tribunali militari circa 4000 condanne a
morte di cui 750 eseguite. Tale numero
non comprende le “esecuzioni sommarie”, ovverosia le esecuzioni avvenute per
ordine dell’autorità militare sul campo,
di militari colpevoli o “sorteggiati” come tali, non sottoposti al giudizio
della giustizia militare. L’analisi delle condanne effettuate dai Tribunali
deve per forza di cose essere effettuata da esperti del diritto e della giurisprudenza,
pena il ricadere in discussioni più adatte alle trasmissioni pomeridiane di
Barbara d’Urso che non ad un discorso di storia militare. Le esecuzioni
sommarie invece si prestano maggiormente ad una traduzione in termini moderni
in quanto totalmente, come vedremo, avulse da quello che è il concetto moderno
della giurisprudenza.
[1]
Alberto Monticone, Il regime penale
nell’Esercito Italiano durante la prima guerra mondiale, Gli Italiani in
uniforme, 1915-18, Intellettuali, borghesi e disertori
Nel conflitto
del 15-18 vigeva il “codice penale per l’Esercito” (la Regia Marina si
avvaleva di una diversa regolamentazione) edito nel 1869; l’obbligo di reagire
con la soppressione per impedire i reati
collettivi (e talvolta individuali) contro la disciplina, definiti di
codardia, era sancito dall’art. 40, che imponeva a qualsiasi persona che
rivestisse un grado di reagire contro l’abbandono del posto di combattimento, sbandamento,
mancata possibile offesa (tipo il rifiuto di aprire il fuoco contro il nemico),
rifiuto di marciare contro il nemico, rifiuto di compiere un servizio di
guerra, rivolta, ammutinamento (la differenza tra la prima e il secondo è la
presenza delle armi in mano ai colpevoli), forzata consegna, vie di fatto a
mano armata contro sentinella o vedetta, attacco o resistenza alla forza
armata, diserzione con complotto, ribellione alla giustizia, saccheggio,
ammutinamento e rivolta di prigionieri. Condizione necessaria per l’esecuzione
sommaria era la flagranza del reato; la “decimazione” (la designazione per
sorteggio) era considerata legale quando il comandante non fosse riuscito ad
individuare con certezza gli autori del delitto all’interno del reparto, ma
fosse necessaria la repressione immediata del reato e sempre che il comandante
ritenesse troppo sanguinosa la condanna di tutti i partecipanti. Sempre
l’articolo imponeva che il sorteggio fosse preceduto da un coscienzioso
accertamento delle colpe, estendendosi anche a coloro su cui gravavano semplici
presunzioni o vaghi indizi o nessun sintomo di colpevolezza.
Tuttavia è
l’art. 117 la chiave di volta dell’intera architettura: infatti esso puniva con
le stesse pene (compresa la pena capitale) il militare che, presente ad un
ammutinamento od a una rivolta, non facesse uso di tutti gli strumenti a sua
disposizione per impedirla (fermarla o frenarla); in altre parole la reazione con
le vie di fatto a tali tipi di reato non era solo consentita bensì imposta sotto minaccia di soggiacere alla stessa
pena. Ad informazione del lettore, anche
oggi il Codice Penale Militare prevede lo stesso (soggiacere alla stessa
pena, capitale fino al 1985 in
caso di omicidi compiuti al seguito) per i reati di collettivi contro la
disciplina.
Ma da dove
proveniva tale cura nel prevenire e reprimere tale tipo di reati? L’Esercito
Italiano a cui faceva riferimento il codice penale del 1869 era un
esercito in cui erano confluite molteplici componenti
ereditate dalle guerre del Risorgimento: ex repubblicani (ad esempio
Garibaldini), spezzoni di eserciti di Stati annessi, tipo l’esercito delle due
Sicilie, i cui componenti erano considerati ancora più infidi degli stessi
repubblicani, visti i sanguinosi episodi in cui erano sfociate le rivolte
contro la presenza di ufficiali “piemontesi”. La coscrizione obbligatoria, con
cui si era cercato di risolvere il problema di fare “gli italiani”, non era
entrata in esercizio senza problemi:
omicidi e stragi furono abbastanza
comuni nelle caserme dell’esercito post-unitario in particolare del ventennio
70-80. Tanto che quando Perocchetti postulò alla fine degli anni ’70 la creazioni di reggimenti con coscritti
provenienti dalla stessa valle (gli Alpini) venne così commentato da un
generale piemontese; [1]“se
lo attuassimo non passerebbero sei mesi e i reggimenti romagnoli darebbero i pronunciamenti”
.
Certamente
quindi l’esercito che si apprestava a condurre il Primo conflitto mondiale era
ben lungi dall’essere un esempio di coesione e saldezza adamantina, tenendo
conto dei precedenti non assolutamente incoraggianti. L’impiego, con ingenti
spese, delle truppe in Africa e quello contro i milanesi in
occasione dei moti del 1898, certo non avevano contribuito a generare un facile ambiente. Cadorna se
ne rese conto immediatamente e già la circ. n.1 del 24 Maggio 1915 (primo
giorno di guerra) riteneva i comandanti di grandi unità responsabili qualora
avessero indugiato, qualora il caso lo richiedesse, ad applicare misure estreme
di coercizione e repressione.
Tuttavia la domanda di quanto fossero state effettivamente le esecuzione sommarie durante
il periodo rimane.
L’Ufficio per la giustizia militare nell’estate del ’19 ne
elenca 141 mentre in un discorso al parlamento, l’on. Luciani ne indica 148
comprese delle 34 generate dal Gen. Graziani durante la ritirata di Caporetto,
ma tali cifre sono largamente sottostimate. Il Pelagalli[2] indica due
fonti ritenute più attendibili: una è il Faldella (del
quale si parla più sotto), l'altra è la “relazione
dell’Avvocato Generale Militare Donato Antonio Tommasi[3] che individua
183 esecuzioni sommarie di cui 64 classificate come “giustificate”(ovverosia
compiute sulla base della vigente normativa), 8 “ingiustificate” e il rimanente
non classificabili a causa di mancanza di dettagli o perché approvate
incondizionatamente dai superiori che avevano esaminato il caso e quindi non
perseguibili. Anche il Monticone (op. cit.) produce una lista largamente
coincidente con quella di Tommasi e con una
prodotta da Filippo Cappellano (Disciplina e giustizia militare nell’ultimo
anno della grande guerra- Storia Militare n. 98, anno 2001). La Tabella di seguito ne
indica il raffronto:
[1]
Cfr. G. ROCHAT, G. MASSOBRIO, Breve storia dell’esercito italiano,
[2]
Sergio Pelagalli, Esecuzioni sommarie
durante la Grande Guerra
[3]
Donato Antonio Tommasi, Avvocato generale
militare a ministro della Guerra, settembre 1919 (minuta non riportante la data
di invio), oggetto “Esecuzioni Sommarie”, risposta a nota n.368 del 28 luglio
1919 presso Museo del Risorgimento -Milano
Anno
|
Mese
|
Monticone
|
Cappellano
|
1915
|
ottobre
|
1
|
1
|
1916
|
febbraio
|
2
|
2
|
maggio
|
11
|
11
|
|
giugno
|
1
|
7
|
|
luglio
|
9
|
9
|
|
agosto
|
5
|
5
|
|
ottobre
|
7
|
7
|
|
novembre
|
1
|
1
|
|
1917
|
Marzo
|
0
|
7
|
Maggio
|
5
|
5
|
|
Giugno
|
20
|
20
|
|
Luglio
|
28
|
28
|
|
Agosto
|
2
|
2
|
|
Settembre
|
7
|
||
novembre
|
49
|
||
141
|
112
|
Il Pelagalli
integra le tabelle includendo altri procedimenti arrivando così ad una cifra
approssimativa di 241 esecuzioni sommarie, riportando eventi narrati dal Gatti e dall Faldella (altra
fonte utilizzata dal Pelagalli) nonché atti ufficiali dei tribunali militari[1];
vengono inclusi anche episodi in cui alcuni
disertori vengono abbattuti dal fuoco dei commilitoni, tipo di evento, questo,
non precedentemente contemplato, arrivando
così alla seguente tabella che allega al suo saggio
[1]
Angelo Gatti, Caporetto. Dal diario di
guerra inedito 1917
Bologna 1964
Emilio Faldella , La grande Guerra,
volume II, Da Caporetto al Piave Milano
1965
ANNO
|
N.
|
DATA
|
REPARTI
|
PASSATI PER LE ARMI
|
||
Flagranza
|
Decimazione
|
totale
|
||||
1915
|
1
|
30 giugno
|
93° fanteria/B. Messina
|
imprecisati
|
imprecisati
|
|
2
|
ottobre
|
imprecisato
|
1
|
1
|
||
3
|
5 novembre
|
85° fanteria/B. verona
|
1
|
1
|
||
1916
|
4
|
Febbraio
|
imprecisato
|
2
|
2
|
|
5
|
21 aprile
|
18° Bersaglieri
|
3
|
3
|
||
6
|
26 maggio
|
141 fanteria/B. Catanzaro
|
4
|
8
|
12
|
|
7
|
12 giugno
|
69° fanteria/B. Ancona
|
3
|
3
|
||
8
|
15 giugno
|
131° fanteria /B. Lazio
|
1
|
1
|
||
9
|
16 giugno
|
14° Bersaglieri
|
4
|
4
|
||
10
|
19 giugno
|
138° fanteria/ B. Barletta
|
imprecisati
|
imprecisati
|
||
11
|
1-2 luglio
|
89° fanteria/B. Salerno
|
8
|
8
|
||
12
|
26 luglio
|
31^Compagnia minatori
|
1
|
1
|
||
13
|
10 (?)agosto
|
85° fanteria/B. verona
|
5
|
5
|
||
14
|
agosto
|
imprecisati
|
1
|
1
|
||
15
|
23 ottobre
|
151° fanteria/ b. Sassari
|
1
|
1
|
||
16
|
30 ottobre
|
75° fanteria/ B. Napoli
|
||||
17
|
31 ottobre
|
6° bersaglieri
|
2
|
2
|
||
18
|
11 novembre
|
27° fanteria/ B. Pavia
|
1
|
1
|
||
1917
|
19
|
13 febbraio
|
XLVII btg. bersaglieri
|
3
|
3
|
|
20
|
21 febbraio
|
162° fanteria / B. Ivrea
|
2
|
2
|
||
21
|
21 marzo
|
38° fanteria/ B. Ravenna
|
2
|
5
|
7
|
|
22
|
3 aprile
|
147° fanteria/ B. Caltanissetta
|
1
|
1
|
||
23
|
5maggio
|
Btg. Di marcia/ B. Toscana
|
4
|
4
|
||
24
|
13 maggio
|
9° 10° fanteria/B. Regina
|
6
|
6
|
||
25
|
20 maggio
|
Btg complementi/ B. Palermo
|
3
|
3
|
||
26
|
23 maggio
|
B. Lambro
|
13-14
|
13-14
|
||
27
|
24 maggio
|
262° fanteria/B. Elba
|
1
|
1
|
||
28
|
27 maggio
|
139° fanteria/ B. Bari
|
1
|
1
|
||
29
|
maggio
|
4° Bersaglieri
|
2
|
2
|
||
30
|
maggio
|
74° fanteria/B. Lombardia
|
10
|
10
|
||
31
|
maggio
|
B. Mantova
|
2
|
2
|
||
32
|
Giugno
|
II Corpo d’Armata
|
1
|
1
|
||
33
|
giugno
|
58 divisione
|
4
|
4
|
||
34
|
2 giugno
|
B. Pallanza
|
4
|
4
|
||
35
|
4 giugno
|
113° fanteria/B. Mantova
|
Imprecisati
|
imprecisati
|
||
36
|
5 giugno
|
117° fanteria/B. Padova
|
11
|
11
|
||
37
|
14 giugno
|
48° fanteria/B. Ferrara
|
1
|
1
|
||
38
|
23 giugno
|
77° fanteria/ B. Toscana
|
2
|
2
|
||
39
|
16 luglio
|
B. Catanzaro
|
16
|
12
|
28
|
|
40
|
15 agosto
|
228° fanteria/B. Rovigo
|
4
|
4
|
||
41
|
19 agosto
|
119° fanteria/B. Emilia
|
1
|
1
|
||
42
|
24 agosto
|
225°/ B. Veneto
|
1
|
1
|
||
43
|
24 (?) agosto
|
89° Fanteria/B. Salerno
|
3
|
3
|
||
44
|
27 agosto
|
imprecisato
|
1
|
1
|
||
45
|
28-29agosto
|
264° fanteria/B.Gaeta
|
5
|
5
|
||
46
|
14 settembre
|
47°fanteria/B. Ferrara
|
1
|
1
|
||
47
|
settembre
|
imprecisato
|
7
|
7
|
||
48
|
3 novembre
|
Imprecisato°°
|
1
|
1
|
||
49
|
3 novembre
|
2^ armata
|
1
|
1
|
||
50
|
9 novembre
|
63^ Divisione
|
1
|
1
|
||
51
|
13(?)novembre
|
78° fanteria/B. Toscana
|
2
|
2
|
||
52
|
23 Novembre
|
158° fanteria/B. Liguria
|
3
|
3
|
||
53
|
novembre
|
Imprecisati °
|
34
|
34
|
||
54
|
novembre
|
imprecisati
|
8
|
8
|
||
1918
|
55
|
12 marzo
|
928^cp Mitraglieri
|
2
|
2
|
|
56
|
8 giugno
|
6^ divisione cecoslovacca
|
8
|
8
|
||
57
|
15 luglio
|
52° fanteria /B. Alpi
|
1
|
1
|
||
TOTALE
GENERALE
|
196-197
|
45
|
241-242
|
° 34 Fucilati da parte del Gen. Graziani di cui si parlerà
di seguito
°° 1 art. Ruffini fucilato da il Gen Graziani di cui si
parlerà in seguito
Ora,
ripercorrere uno per uno tutti gli
episodi elencati dai vari autori (Monticone, Cappellano e Pelagalli) esula
dallo scopo di questo breve saggio, ma ci si soffermerà su due episodi di cui
uno assolutamente ignoto ed uno particolarmente noto (la rivolta della Brigata
Catanzaro sull’Altipiano di Asiago e la relativa decimazione); passerò poi a
delineare la personalità di colui che fu “il fucilatore” per antonomasia
durante la ritirata di Caporetto ovverosia
il Generale Andrea Graziani.
Il primo
fatto è riportato in maniera asciutta dal Pelagalli citando fonti dell’Archivio
Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito. ”23 Ottobre 1916. Un soldato del
151° fanteria (Brigata Sassari) diserta di fronte al nemico: è colpito a morte
dal fuoco dei suoi commilitoni prima di raggiungere la trincea avversaria”.
Invano si cercherà traccia di questo fatto in tutta la bibliografia sulla
Brigata Sassari, anche chi ha scritto criticando fortemente la condotta della
guerra, romanzando esecuzioni di tribunali militari (che poi di fatto sappiamo
non essere esistite), pur essendo presente nel luogo e nel tempo citato non
ha mai riportato il fatto. Nonostante la
maggioranza dei libri sulla Brigata siano stati scritti dopo svariati anni o
addirittura decenni dopo la fine della guerra, sembra che la vergogna per un
accadimento di questo tipo fosse ancora presente in tutti: più che un tradimento militare, il silenzio
può essere inteso come la copertura di un tradimento di un coniuge fedifrago,
che anche se è stato allontanato (in questo caso soppresso), ha infangato
indelebilmente un rapporto che ben poco ha a che fare con la disciplina
militare. Chi ha mangiato il tuo pane e fumato le tue sigarette, ha ascoltato i
tuoi racconti su casa, sulla tua famiglia e sulle tue cose non sta abbandonando semplicemente un reparto per passare
ad un altro: tradisce una fiducia che è più profonda e radicata. Purtroppo
questo è un sentimento che può capire solo che ha provato questo tipo di
cameratismo e sa che in questo caso il fucile verrebbe alla mano naturalmente.
Per quanto
riguarda la decimazione della “Catanzaro”, leggiamo la versione che ne dà
l’Avvocato Generale Militare Tommasi nella sua relazione a pag. 40-42: ”la
notte sul 16 luglio (1917), la Brigata Catanzaro (141° e 142° fanteria), pur
provata dai combattimenti di Maggio e di giugno, deve tornare in linea. Colpi
di fucile sono sparati dai baraccamenti del 141°; la rivolta si estende subito al 142°. I
sobillatori asseriscono che, in seguito ad analoga protesta, un’altra brigata
non è stata mandata in trincea, ha cambiato fronte e, addirittura, ha ottenuto
medaglie al valore. L’ammutinamento degenera in rivolta: il fuoco delle armi, che dura quasi tutta la
notte, colpisce a morte ufficiali e carabinieri. Intervengono cavalleria, auto
mitragliatrici e auto cannoni. Il Comando d’Armata ordina “di agire con
fulminea prontezza ed estremo salutare vigore”. Scrive nella relazione: “la 6^
compagnia del 142° si era asseragliata in una posizione
opportuna e con mitragliatrici faceva fuoco ostinato continuando la resistenza.
Desistette dopo che vide piazzati contro gli autocannoni. Sedici militari presi
con l’arma ancora scottante furono senz’altro condannati alla fucilazione.
Oltre questi si sarebbero dovuti logicamente fucilare tutti i militari (120
uomini) del reparto suddetto che aveva continuato fino allo stremo la
resistenza armata, giacchè essi non erano già degli indiziati, m veri e propri
rei di rivolta armata sorpresi in flagranza di reato. Ma per evitare le
fucilazioni si eseguì il sorteggio di un decimo di essi (dodici) e questi furono
condannati alla fucilazione… Si imponeva l’esempio immediato della fucilazione;
ritardarla non si poteva per l’estrema gravità del fatto ed anche perché la
brigata doveva mettersi in marcia. Riamndare la marcia equivaleva a dare
spettacolo di debolezza e ritardare la sanzione significava diminuirne
l’efficacia. Per tal modo
venne eseguita la fucilazione di 28 militari (16 più 12) in presenza di due
compagnie, una per ciascun reggimento.”
Giudizio
dell’Avvocato Generale Militare: “La gravità della rivolta dispensa da ogni
discussione sul preciso e imprescindibile dovere che si imponeva ai capi di
ricorrere agli estremi mezzi di coercizione, per infrenare e reprimere un
movimento di ribellione che avrebbe potuto avere conseguenze ben più gravi e dolorose
di quelle che si ebbero in effetti a deplorare. La sommaria esecuzione avvenuta
immediatamente degli sciagurati che avevano rivolto contro i compagni d’arme e
i propri ufficiali le armi loro affidate per la difesa della Patria fu
legittima e con lodevole senso di umanità mantenuta dai capi nei precisi limiti
fissati dalla legge e richiesti dalla necessità del grave momento”. La Brigata Catanzaro
aveva già subito gravissime azioni disciplinari l’anno precedente durante la Battaglia degli
Altipiani, dove anche allora una compagnia si diede alla fuga, questa volta
incitata da ufficiali di complemento e sottufficiali: in quel caso furono
fucilati 1 sottotenente, 3 sergenti e 8 graduati di truppa. Ciononostante giova
ricordare che la Catanzaro
si distinse in quella battaglia tanto da dare al comandante (Gen. Carlo Sanna
di Senorbì) la medaglia d’argento al V.M. e ancora successivamente sul Costone
Viola e Monte S. Michele dove lo stesso ricevette Ordine Militare di Savoia. In
ogni caso la mano pesante nei confronti della Brigata, che inquadrava
prevalentemente militari calabresi, si riconduceva al fatto che era ancora vivo
nei ricordi degli avvocati militari e di molti giudici gli avvenimenti del 1884
nella caserma di Pizzofalcone in cui un militare calabrese aveva ucciso
coll’arma di ordinanza, dopo un diverbio, 7 militari settentrionali, ferendone
13. Lombroso aveva forgiato dal nome del militare (Misdea) la definizione di un
comportamento criminale tipico detto misdeismo. Irene Guerrini, coautrice del
libro “Fucilate i fanti della “Catanzaro” scriverà: “La Brigata si era in molte occasioni
coperta di onore. Era stanca e sfibrata. Le era stato promesso un lungo turno
di riposo e invece gli ufficiali intendevano riportarla al fronte. Ma quello
della Catanzaro fu l’unico atto di vera rivolta, peraltro spontanea, che
conosciamo. Tutte le altre decimazioni furono attuate, per dare l’esempio, a
seguito di avvenimenti molto meno gravi».
IL
GENERALE DELLE FUCILAZIONI – IL GEN. ANDREA GRAZIANI
Sicuramente tra tutte le fucilazioni sul fronte
italiano, quelle più famose sono attribuite a quello che passò alla storia come
il “generale delle fucilazioni”, il Magg. Gen. Andrea Graziani. Nato nel 1864 a Bardolino, sulla
sponda veronese del Garda, sottotenente nel 1882, Andrea Graziani fu in Eritrea
nel 1887 e nel 1904 insegnante alla Scuola di Guerra. Durante il terremoto di
Reggio e Messina (1908) meritò un encomio speciale e la medaglia d’oro di
benemerenza per i soccorsi prestati. Colonnello nel 1914, sopraggiunto
il 10 gennaio 1915 il terremoto della Marsica, il Colonnello Graziani, cui fu affidato col suo Reggimento il settore
orientale di Avezzano (12 paesi), riconfermò la sua capacità di organizzatore
nell’opera di salvataggio e ricostruzione. Con un miracolo di attività, che a
molti parve incredibile, ma non a S.M. il Re che frequentemente nel rigore
delle nevi e delle tormente percorreva la Marsica , in 45 giorni soltanto poté presentare i
12 paesi della zona completamente baraccati con forni e botteghe ricostruite. Durante la guerra del ’15-’18, comandò le
brigate Jonio e Venezia in Val Sugana e la 44a divisione sul Pasubio durante la Strafexpedition del maggio-giugno
1916. Una divisione «invero gigantesca, questa 44a, addirittura superiore ai
normali effettivi d’un corpo d’armata, come ci informa Gianni Pieropan nel suo “1916: le montagne
scottano”, ma che in ogni caso riuscì a fermare l’offensiva
austro ungarica in Val Sugana. La
motivazione dell’ Ordine Militare di Savoia concessa
al generale Graziani per questi combattimenti dice infatti: ” Valsugana 18
aprile, 26 maggio 1916; M.Collo-Bieno-M.Cima,- Comandante di una avanzata linea
di difesa, resisteva a ripetuti violenti attacchi con coraggio e perizia; nonché cedere terreno, contrattaccava
ripetutamente infliggendo all’avversario notevoli perdite e prendendogli più di
400 prigionieri.“ (M.Collo, 15-20 maggio 1916). Già in queste occasione il
generale diede prova di una incredibile determinazione e durezza nei confronti
dei sottoposti. Il battaglione alpini M. Berico incaricato di prendere il Dente
dell’Austriaco, non potè attaccare a
causa della nebbia e si levarono grida di incoraggiamento per la nebbia. Il
Generale, non trovando i responsabili, decise di far fucilare 10 alpini, ma il resto del battaglione decise di
condividere la sorte e attaccare nonostante la nebbia, conquistando il Dente a
carissimo prezzo. Fu così evitata la fucilazione. Ferito
più volte per essersi esposto in combattimento, si vantava, come comandante
della 44^ Div., di aver mandato all’assalto con la loro truppa gli ufficiale della
Brigata Ancona che comandavano all’assalto i loro uomini rimanendo al riparo.
L’atteggiamento
poco conciliante non solo nei confronti della truppa, ma anche degli ufficiali che non si dimostravano all’altezza, gli
alienò pure molte simpatie tra gli Alti
Comandi. Ma fu con la ritirata di Caporetto, quando divenne Ispettore Generale
per il Movimento di Sgombero che accaddero i fatti più controversi.
Graziani imperversò a bordo di una autovettura che portava anche 5 carabinieri per tutto il settore affrontando gli sbandati con rivoltella alla mano e rimandandoli indietro nei reparti di appartenenza, reprimendo tutti gli atti criminosi che venivano compiuti. Il 2 novembre 1917, presso Noventa Padovana, il soldato Alessandro Ruffini, di 23 anni, originario di Castelfidardo (Ancona) in servizio nella 10a Batteria del 1° Reggimento di Artiglieria da montagna, che fu fatto da lui fucilare per non aver tolto il sigaro di bocca mentre passava davanti a lui. La cronaca dell’accaduto è stata così descritta, nel Liber Chronicus della Parrocchia di Noventa Padovana, dal Parroco Don Carlo Celotto, che benedisse con gli Oli sacri la salma di Ruffini e l’accompagnò al cimitero della cittadina padovana. “Novembre. La ritirata. Caporetto.La II Armata passa per le
vie del nostro paese. I soldati presentano un aspetto compassionevole.
Senz’armi, vestiti male, affamati. Ufficiali e soldati domandano ricovero e
pane. Lì 3 novembre il Generale Graziani comandante le retrovie fa fucilare
presso la casa Miari, abitata dal Comm. Suppiei, il soldato Ruffini Alessandro
da Castelfidardo. Sembra che il Ruffini abbia tenuto un contegno provocante
davanti il generale. Il Comm. Suppiei cercò di difenderlo e salvarlo, ma nulla
fece: fra la costernazione dei presenti e lo spavento dei soldati l’esecuzione
ebbe seguito”. L’episodio è stato anche citato nella relazione dell’Intendenza Generale inviata il 3 novembre 1917 (lo
stesso giorno del fatto) al Comando Supremo e firmata dal Gen. Graziani.
Graziani imperversò a bordo di una autovettura che portava anche 5 carabinieri per tutto il settore affrontando gli sbandati con rivoltella alla mano e rimandandoli indietro nei reparti di appartenenza, reprimendo tutti gli atti criminosi che venivano compiuti. Il 2 novembre 1917, presso Noventa Padovana, il soldato Alessandro Ruffini, di 23 anni, originario di Castelfidardo (Ancona) in servizio nella 10a Batteria del 1° Reggimento di Artiglieria da montagna, che fu fatto da lui fucilare per non aver tolto il sigaro di bocca mentre passava davanti a lui. La cronaca dell’accaduto è stata così descritta, nel Liber Chronicus della Parrocchia di Noventa Padovana, dal Parroco Don Carlo Celotto, che benedisse con gli Oli sacri la salma di Ruffini e l’accompagnò al cimitero della cittadina padovana. “Novembre. La ritirata. Caporetto.
Ancora oggi questa è senz’altro la fucilazione più famosa della storia
dell’Esercito Italiano; iniziando dall’Avanti nel 19, nel Corriere e nel Reato del Carlino per
arrivare ai saggi di Loverre e del
giornalista Aldo Cazzullo, questo episodio venne portato come esempio di cosa
sarebbe accaduto nel periodo della ritirata di Caporetto; probabilmente, fra
cent’anni, il caso Cucchi verrà trattato ugualmente per descrivere l’operato
dell’Arma dei Carabinieri in questi anni.
La mattina del 13 novembre 1917, Graziani ordinò la fucilazione a S.
Maria della Rovere (Treviso) di 13 militari: 7 soldati per aver usato “violenza entro le case abitate”, in sintesi rapina e stupro accaduti nei pressi
di Portogruaro (i Caporali Augusto Pieralli e Salvatore Trigliaro ed i soldati
Oreste Bigi, Adolfo Gigli, Giuseppe Pintapoli, Vincenzo Scudella e Bruno
Vancalli); 5 soldati per saccheggio (i soldati Felice Cremaschi, Carlo
Giavotto, Battista Monti, Pietro Pastorino e Carlo Paveri); il Caporale Lidio
Benzi per “ribellione e
minaccia amano armata ai Carabinieri”.
Il manifesto informativo di questa fucilazione fu pubblicato su l’Avanti!
del 13 agosto 1919, che conteneva anche l’articolo di Armando Paleso “Altri manifesti patriottici del generale
Graziani!” e che titolò l’intera prima pagina con questa frase: “Caporetto vergogna del militarismo nell’inchiesta
parlamentare ed in quella socialista”. Tale testata aveva avviato una vera e
propria campagna contro il Generale Graziani, ritenuto il tipico esempio del
cadornismo da estirpare, invitando i genitori del Ruffini a chiamare a giudizio
l’ufficiale per omicidio.
Questo drammatico episodio è stato riportato dal Colonnello Angelo
Gatti, Dirigente dell’Ufficio Storico del Comando Supremo, che il 13 novembre
1917 annotò nel suo ”Caporetto. Diario
di guerra (maggio-dicembre 1917): “Il Generale Graziani… ha fatto affiggere nelle vie di Padova un avviso
che diceva che era stata pronunciata la sentenza di fucilazione nella schiena
di 13 soldati per violenza”.
L’episodio è stato citato anche nella lettera inviata il 14 novembre
dal Vescovo di Treviso, Mons. Andrea Giacinto Longhin (di cui si è già
descritta l’opera in un nostro
recedente articolo), a Mons. Giuseppe Furlan, prevosto di Montebelluna, nella
quale scrive: “Ieri vi furono qui ben
13 esecuzioni capitali contro quelle jene che svaligiavano le case e si
gettavano sulla roba del prossimo. Quale obbrobrio!”
Il 16 novembre 1917, sempre
Graziani ordinò la fucilazione nella schiena di 21 persone: 18 militari e tre
civili. Al riguardo,l’Avanti! il 10 agosto 1919, pubblicò un manifesto,
datato 16 novembre, ma senza indicazione del luogo di stampa, che informava
della fucilazione di 12 soldati per violenza in case abitate; di 5 soldati per
saccheggio e scassinamento; di 1 soldato per saccheggio e uso di della divisa
da Ufficiale, con abuso del grado; di tre civili per saccheggio. Sempre durante
la “ritirata di Caporetto”, Graziani fece fucilare, vicino a Schio (Vicenza), i
soldati Adalberto Bonomo,
di Napoli, e Antonio Bianchi,
di Gallarate (Milano) che non
lo avevano salutato nel modo prescritto dal Regolamento militare portando a 36
le vittime totali.
L’11
aprile 1918 il Ministero della Guerra incaricò il Gen. Graziani di costituire
un “Corpo Czeco-Slovacco in Italia”.
I soldati cechi però non dimostrarono molta volontà di combattere,
alimentando il sospetto che molti di loro si fossero arruolati per evitare le
difficili condizioni della prigionia. Si verificarono numerose proteste ed
anche molti casi di diserzione, non adeguatamente repressi dagli Ufficiali,
anche in relazione al vitto che non era ritenuto adeguato, ma si ritiene che i
soldati cecoslovacchi, disertori dall’esercito Austro –Ungarico non gradissero
il reimpiego.
In quelle occasioni, anche il Gen. Graziani si dimostrò clemente, per
cercare di costruire la partecipazione attiva dei soldati cechi ai
combattimenti. Pertanto, soldati che erano in attesa di processo per diserzione,
furono scarcerati. Però, quando i Reparti arrivarono nella Zona di operazioni,
la situazione precipitò perché ci furono molti altri casi di diserzione: ben 39
tra l’8 e l’11 giugno.
Giunto sul
posto il 12 giugno, il Generale cercò di
convincere i cecoslovacchi a mantenere
un contegno adeguato, ma avendo
riscontrato una ulteriore riottosità ad ubbidire, rientrò nei soliti sistemi:
chiamato il Comandante di Reggimento, fece fucilare 8 disertori colti in
flagrante e deferire al Tribunale Militare Speciale il resto.
Al termine della guerra il Generale fu
messo a riposo per essere poi richiamato in servizio come Luogotenente Generale
della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale e trovo la morte nel 1923, in un discusso
incidente ferroviario sulla linea Prato Firenze. Gli appassionati fan della
D’Urso nazionale e della fida inviata Ilaria potranno trovare interessante
l’analisi che di tale incidente è stata fatta da Cesare Alberto Loverre nel saggio “Al muro- Le
fucilazioni del Generale Andrea Graziani nel Novembre del ‘17” su tale incidente.
Con quest’ultimo fatto si concluse la carriera di
quello che fu definito il “più grande fucilatore della Prima Guerra Mondiale. Gli studiosi Marco Pluviani e Irene Guerrini,
però, ritengono che le fucilazioni ordinate da Graziani siano state di numero ben superiore[1], ma a loro dire, i relativi casi non sono documentati per cui non
li hanno citati nel loro libro. Non si deve però essere degli psicologi per
scoprire che nella sua opera il Gen. Graziani non ha mai cercato di nascondere
gli atti che compiva, anzi ne cercava la massima risonanza (come di sopra
abbiamo visto) convinto com’era della importanza del valore “mediatico” della spietatezza
dimostrata. Egli
stesso, in relazione alla fucilazione dell’art.
Ruffini, affermerà:”
…Valutai
tutta la gravità di quella sfida verso un generale… L’atto del soldato Ruffini
distruggeva in un solo istante l’azione morale che io avevo svolto e il
prestigio della disciplina davanti a tutto il reparto. …Valutai la necessità di
dare subito un esempio atto a persuadere i duecentomila sbandati che da quel momento
vi era una forza superiore alla loro anarchia…”. Come ebbe a dire un suo dipendente, l’alpino Palmiro Togliatti “la
ritirata di Caporetto fu una occasione persa per il partito Socialista per
spingere la rivoluzione e firmare una pace, tipo quella di Brest-Litovsk, per far uscire l’Italia dalla guerra”. Ancorché
questo giudizio fosse stato espresso quasi vent’anni dopo, sembra che il Graziani avesse compreso
immediatamente la portata degli avvenimenti che stava vivendo e l’unico
giudizio che mi sento di condividere è quello dello studioso Antonio Sema[2]
che scrisse : “ Graziani attuò, con
determinazione, la controrivoluzione preventiva e non si curò nemmeno di
minimizzare il suo compito”.
[6] “Le fucilazioni sommarie nella prima Guerra
Mondiale”, Gasperi Editore, Udine 2004
[7]
“La grande guerra sul fronte dell’Isonzo”
(tre volumi), Editrice Goriziana, Gorizia 1995-1997
COMPARAZIONI CON ALTRI PAESI
Secondo Mario Isnenghi nel suo libro “La Grande Guerra ”, in Francia,” gli storici interessati alle
forme di insubordinazione individuali e collettive e ai conseguenti processi
nei tribunali militari hanno potuto accedere qualche anno fa alla consultazione
di documenti ufficiali nei quali per mezzo secolo era stato custodito il
segreto della portata degli ammutinamenti in particolare nella zona dello
Chemin de Dame e dello Champagne nel periodo Maggio – Giugno 1917 si è così
potuto constatare che nel semestre Giugno- Dicembre 1917 le condanne a morte
effettivamente eseguite sono state 629, cioè un numero maggiore di tutte quelle
registrate nel periodo precedente che pure è di 4 volte più lungo. Nel periodo
Agosto 1914- gennaio 1917 si ha una media mensile di 22-23 condanne a morte di
cui 7-8 effettivamente eseguite (le altre beneficiano di grazia e vengono
commutate in pene detentive”). Risultati questi non molto dissimili da quanto
aveva riscontrato il giornale Le Crapouillot, che con un’inchiesta pubblica condotta nell’agosto 1934,
dimostrò che tra il 1914 e il 1918 erano stati giustiziati 1.637 soldati, di
cui 528 solo nel 1917, dopo episodi molto estesi di rifiuto di combattere.
Tenendo conto che la guerra in Francia durò circa 9 mesi in più e mobilitò un
numero maggiore di militari (circa 7 milioni e mezzo contro i poco più di 5
milioni dell’Italia) sembrerebbe che la giustizia militare d’oltralpe avesse
avuto più mano leggera che non la nostra. Addirittura nell’esercito Britannico
risultano 306 soldati fucilati per codardia o diserzione (25 di loro erano
canadesi, 22 irlandesi e 5 neozelandesi), mentre l’Australia non volle passare
per le armi i suoi 129 militari condannati per simili reati.
Personalmente, dato il lungo servizio trascorso con le forze armate britanniche, non ritengo i dati attendibili: sembra che fino a tutto 1916 i fucilati venissero riportati alle famiglie come “deceduti per ferite” e, per dare alcuni esempi sulla trasparenza dei dati britannici sui caduti, si ricorda che a tutt’oggi il numero dei caduti britannici nella guerra delle Falkland/Malvinas è ancora ignoto e che fino al 1987 il numero delle perdite causate dalle forze speciali italiane in Africa nel 1941-42 era ancora considerato “UK Secret” .
Secondo Mario Isnenghi nel suo libro “
Personalmente, dato il lungo servizio trascorso con le forze armate britanniche, non ritengo i dati attendibili: sembra che fino a tutto 1916 i fucilati venissero riportati alle famiglie come “deceduti per ferite” e, per dare alcuni esempi sulla trasparenza dei dati britannici sui caduti, si ricorda che a tutt’oggi il numero dei caduti britannici nella guerra delle Falkland/Malvinas è ancora ignoto e che fino al 1987 il numero delle perdite causate dalle forze speciali italiane in Africa nel 1941-42 era ancora considerato “UK Secret” .
Lascia tuttavia estremamente perplessi
che entrambe le nazioni non riportino alcuna esecuzione tra le truppe
coloniali: nonostante, per i francesi, le forze coloniale abbiano assommato a
circa il 30% del totale dispiegato (circa 135.000 tra fucilieri senegalesi e
spahis marocchini) non sembra ci sia stato alcun caso di diserzione o codardia.
A leggere i numeri, sembra che chi proveniva dal Senegal si trovasse molto più
motivato a difendere la Patria
francese di quelli che invece trovavano casa loro sotto la diretta minaccia: un
argomento da approfondire bel futuro.
Ometto comunque le percentuali relative
ai belligeranti dei Paesi Balcanici e dell’Est europeo in quanto non ritengo i
sistemi giuridici comparabili: in ogni caso le percentuali sono circa 3-5 volte
superiori a quelle italiane.
In conclusione, la disamina delle esecuzioni sommarie eseguite durante il primo conflitto mondiale offre una panoramica di motivazioni ben più ampia della contrapposizione Generali/carabinieri (a questi ultimi è stato attribuito un ruolo ben maggiore di quanto abbiano effettivamente svolto) - fanteria descritta piuttosto semplicisticamente (o gaglioffamente ?) da molti autori. Le contraddizioni e i conflitti che hanno caratterizzato il primo cinquantennio della vita del Regno, dalle rivolte selvagge delle popolazioni del Sud, stile Bronte, al contadino padano sobillato da un clero austriacante che cerca la “protezione” fra le file austro-ungariche e viene abbattuto dai compagni, al depravato che cerca uccide un allievo ufficiale che aveva rifiutato le sue avances e viene giustiziato sul posto. La guerra, contrariamente a quanto alcuni propalano, non genera “diritto”, ma risolve conflitti sia in positivo, cementando rapporti nati in combattimento come abbiamo visto in certe unità, o eliminando chi non si piega alla sua ferrea ed immutabile logica; non solo i grandi conflitti tra imperi, ma anche i “piccoli” conflitti tra classi sociali o individui che non condividono la stessa visione del mondo, come poi vedremo infinitamente in scala maggiore alla fine del secondo conflitto mondiale.
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