giovedì 6 dicembre 2018

Un altro Cadorna - di Mauro Scorzato



Un altro Cadorna
di Mauro Scorzato 

Perché parlare di Cadorna oggi? La necessità di ristabilire un'oggettività storica non sbilanciata, basata su una analisi critica più che sull’invettiva preconfezionata. In effetti Scorzato è stato un precursore della revisione critica relativamente a Cadorna e oggi la sua opinione sembra sempre più condivisa. Ci aspettiamo adesso un ampliamento di questo lavoro.
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Il 27 luglio 1914 il Gen. Luigi Cadorna veniva nominato Capo di Stato Maggiore Generale in sostituzione del defunto generale Alberto Pollio.
La morte del Gen. Pollio (1) per infarto avrebbe suscitato non poche perplessità in seguito: il defunto Capo dell’esercito, tipico prodotto del dell’“esercito del sud”, aveva rappresentato in pieno il prototipo della contrapposizione a livello di Stato Maggiore tra ufficiali di “stirpe piemontese”, fortemente influenzati all’obbedienza alla sola corona e gli ufficiale “di stirpe napoletana” (ivi compresi i “romani”) molto più influenzati dal potere politico a cui dovevano la sopravvivenza nell’esercito, con frequentazioni più nel parlamento e nelle Curie che non a Corte. La sua nomina nel 1908, avvenuta battendo sul filo di lana proprio il Gen. Cadorna aveva dato perfettamente l’idea di quello che sarebbe stata l’idea giolittiana del futuro. Pollio era sempre stato uomo di sentimenti scopertamente triplicisti: ex addetto militare a Vienna aveva sposato un'aristocratica austriaca e poteva vantare ottimi rapporti tanto con von Moltke che con Conrad von Hötzendorf. 
Eminente studioso di arte militare ed esperto di storia militare, aveva stroncato (e ciò aveva contribuito alla sua nomina) lo studio di Cadorna sulla nuova concezione del campo di battaglia con l’impiego delle armi automatiche, opera che poi diventerà la famosa libretta rossa “Attacco frontale e ammaestramenti tattici” una specie di Talmud dell’attacco che troveremo applicato nelle famose offensive sull’Isonzo. (2)
Insieme al generale Conrad, accompagnatore dell'arciduca Francesco Ferdinando durante le manovre germaniche in Slesia del 1913, il Gen. Pollio aveva inoltre discusso i termini del previsto trasferimento ferroviario delle divisioni italiane attraverso le frontiere austriache e tedesche sino al confine renano, ove il piano Schlieffen (il piano elaborato dallo Stato Maggiore Germanico per invadere la Franciaprevedeva che tali forze venissero schierate a rinsaldare l'ala sinistra germanica.
D’altra parte il suo scarso “modernismo” e la sudditanza nei confronti di Giolitti (a cui doveva parte dei suoi “successi” di carriera nonché la nomina a senatore del Regno) fu la causa principale della scarsa organizzazione militare dell’Italia agli albori della 1^ G.M.: il fatto che Giolitti avesse bocciato l’acquisto delle mitragliatrici (solo le Brigate di linea ne erano dotate) e dei cannoni dell’artiglieria pesante nel 1913 aveva influito non poco sullo sviluppo iniziale delle operazioni belliche e se Pollio avesse saputo caldeggiare le proposte di ammodernamento sicuramente l’armamento dell’esercito sarebbe stato più aderente ai requisiti del nuovo conflitto (un punto questo a favore di Cadorna).
Comunque, appena insediatosi, Cadorna si mise immediatamente all’opera per preparare alla guerra l’esercito che era stato messo ai sui ordini: ancora non aveva ben chiaro contro chi, dal momento che nessuno a Roma si era premurato di avvertirlo dei maneggiamenti che avrebbero portato al trattato di Londra (né Cadorna, nel suo profondo disprezzo dei politici suoi contemporanei si era premurato di investigare). Dà in ogni caso l’idea del personaggio il fatto che il 31 Luglio (4 giorni dopo il suo insediamento) avesse già inviato al governo un piano per inviare a supporto della Germania sul fronte del Reno un contingente di 5 Corpi d’armate invece che tre. Il generale austriaco Conrad von Hötzendorf infatti continuava a pressare Cadorna per sapere con quali forze l’Italia avrebbe onorato “accordi verbali che aveva già intavolato in via del tutto confidenziale con Sua Eccellenza il Gen. Pollio ora defunto”. La risposta di Cadorna fu: “Mi trovo nella impossibilità di rispondere in merito all’argomento di cui Vostra Eccellenza si compiacque di intrattenermi nella pregiatissima lettera sopra citata”.
Certo che la sua disistima del sistema politico non si poteva dire mal riposta se nessuno si premurò di informare chi lo doveva combattere che il nemico era cambiato come erano cambiati gli obbiettivi della Guerra!!! Un po’ come se oggi si comunicasse al Gen. Graziano attuale Capo di Stato Maggiore della Difesa, che invece che all’ISIS si fosse deciso di dichiarare guerra agli Stati Uniti.
Ma qui vediamo la parte positiva del Cadorna: oltre che a ripianificare la campagna, dovette porsi un’opera titanica che forse non sfugge neppure ai suoi detrattori. Dovette imporre un cambio di passo all’industria per mettere in grado l’esercito, in quei pochi mesi che mancavano allo scoppio della guerra, per almeno colmare le lacune più gravi. Per dirla con le sue parole: ”La deficienza delle dotazioni normali di mobilitazione, l’assoluta mancanza degli equipaggiamenti invernali, la mancanza di un parco d’assedio…. [quella parte dell’artiglieria che allora sparava a tiro indiretto….in pratica quello che serviva in montagna N.d.R]. E le conseguenze dell’azione politica si videro quando si dovette rivolgere alla Gran Bretagna per avere quelle mitragliatrici che il Giolitti aveva bocciato a cuor leggero e si vide rispondere dall’omologo britannico che prima di fornire le Vickers richieste quest'ultima avrebbe voluto essere ben sicura di sapere contro quali nemici avrebbero sparato (le 250 mitragliatrici Vickers, o Maxim, avrebbero poi equipaggiato le brigate di cavalleria e sarebbero state prestate alla brigata “Sassari “per il suo battesimo del fuoco).
A saper leggere, con poche parole egli aveva delineato le condizioni dell’esercito che aveva avuto in eredità: lui, non noto certamente per la sua tenerezza, un giorno sbottò: “molti buoni ufficiali e soldati pagarono con la vita restando crocefissi nei reticolati perché non avevamo in magazzino oggetti così semplici e poco costosi come le forbici tagliafili”.
Ciononostante continuò a condurre con la stessa cocciuta testardaggine con cui avrebbe condotto le offensive sull’Isonzo la preparazione alla guerra arrivando a militarizzare la produzione (unico esempio nelle nazioni partecipati alla 1^ G.M.) (3) provvedimento impopolare sicuramente ma che aveva messo in grado il paese di affrontare il conflitto che altrimenti si sarebbe concluso con esiti nefasti ben prima dello fine naturale. Perfino il buon cuore napoletano di Diaz si guardò bene di revocare tale provvedimento neppure prima di Vittorio Veneto: anzi proprio in prossimità di Vittorio Veneto si ha il picco di produttività da parte sia di Ansaldo della famiglia Perrone che di Ilva Acciai (ci ricorda nulla???).
Ben lo intese il generale tedesco Alfred Krauss: “Soltanto una potente energica volontà poteva costringere e trascinare a sforzi di così lunga durata e sempre crescenti ad onta degli insuccessi, gli italiani, la natura dei quali non era incline a così ostinati sempre ripetuti attacchi. Infatti stava alla testa dell’esercito italiano questa forte personalità, così poco corrispondente al carattere nazionale: Cadorna.”
E certamente tale ferreo carattere, scevro di ogni empatia con chicchessia, che lo pose per lunghi anni distante sia dal potere politico sia dai suoi stessi dipendenti non poté certo portarlo alla Storia come un campione di simpatia, qualità che molto spesso aiuta gli incompetenti a superare gli scogli delle vicende umane. Il potere politico non poté mai perdonargli i pochi successi che aveva colto e che non potevano essere sicuramente condivisi: la risposta che diede a Salandra, che chiedeva un consiglio di guerra il 24 Maggio 1916, durante i tragici giorni del contenimento della offensiva austriaca sull’altipiano di Asiago (uno dei successi di Cadorna) era emblematica del carattere:
“I consigli di guerra nelle circostanze difficili non servono: colla diversità dei pareri che creano incertezze, dividono le responsabilità e inducono a temporeggiare mentre si richiede fulminea la decisione. Finché avrò l’onore di godere della fiducia di Sua Maestà il Re e del Governo, la responsabilità è  mia e l’assumo interamente.”
E certamente fa capire come non avrebbe goduto le simpatie di chi lo avesse studiato negli anni successivi, in climi assembleari e di decisioni condivise.
Ma non erano solo i superiori a temere il carattere spigoloso e assolutista di questo Fornero della guerra: la stampa che aveva abbandonato i corridoi di Montecitorio per precipitarsi a Udine nel suo Comando che aveva le caratteristiche della città proibita: ma anche lì, un articolo sbagliato e l’ostracismo avrebbe colpito senza pietà. Solo il direttore del Corriere della Sera Luigi Albertini aveva accesso al Generale per semplice fatto che era la testata più letta in Parlamento e riportava integralmente i suoi pareri sulla guerra. Insomma il povero “tecnocrate” bellico sembrava creato apposta per catalizzare le antipatie di tutti coloro rifuggono l’analisi storica per più mondani commenti su presunti “stragismi” esecuzioni di massa da parte dei Carabinieri Reali, o ammutinamenti generalizzati. 
Probabilmente se queste persone avessero conosciuto nomi come Nivelle, (4) Joffre, (5) Haig (6) o altri che i famosi 650.000 morti erano riusciti a farli in una sola battaglia, forse riuscirebbero a capire che tutto sommato c’era molto di peggio sul mercato. Gli scandalizzati delle spallate sull’Isonzo (tutt’ora ignoro dove avrebbe dovuto attaccare se non sull’Isonzo dal momento che tutti gli eserciti dalle invasioni barbariche in poi sono entrati in Italia da quella parte) potrebbero guardare accigliati se gli si nominasse Verdun, colpiti dal dubbio che forse era stata una battaglia sanguinosa
(……forse).
Sicuramente il gen. Luigi Cadorna non era una mente geniale nella sua visione del campo di battaglia, certamente non innovativo e seriamente condizionato dalle mancanza di qualità umane ma quantomeno aveva saputo dimostrare di saperci arrivare e poterci stare. Potremo delegare ad altra sede una disquisizione degli errori commessi e valutare in maniera più esauriente la sua concezione tattica ma sicuramente si può affermare che, bene o male, il generale di Verbano non merita un posto tra gli scellerati.
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(1) Alberto Pollio (Caserta, 21 aprile 1852 – Torino, 1º luglio 1914) è stato un generale italiano.Ricoprì il ruolo di capo di Stato maggiore del Regio Esercito tra il 1908 e il 1914.Ufficiale competente e colto, fu sinceramente favorevole alla Triplice Alleanza. Morì per un improvviso evento cardiocircolatorio nella notte dal 30 giugno al 1º luglio 1914, due giorni dopo l'attentato di Sarajevo che avrebbe provocato lo scoppio della Prima guerra mondiale. Nel 1908 raggiunse la più alta carica militare istituita nel 1882, 4º Capo di Stato Maggiore dell'Esercito Italiano e, tra l'altro, il 3º che proveniva dall'allora Collegio Militare della Nunziatella di Napoli (oggi Scuola Militare) dopo Enrico Cosenz e Domenico Primerano che furono rispettivamente il 1º ed il 2º. Circostanza non da poco visto che la Nunziatella aveva formato i predetti ufficiali durante il Regno Borbonico e che l’imprinting dato dalla scuola di provenienza rappresenta la caratterizzazione di quello che diverrà l’ufficiale. L’antagonismo tra le scuole borboniche e piemontesi rappresenterà una costante di tutto l’ambiente militare del Regno: ne avremo una prova anche con Diaz e Cadorna. A rendere Pollio particolarmente odioso a Cadorna fu inoltre il fatto che il primo avesse brigato per diventare Senatore del Regno a dimostrare com e fosse particolarmente radicato nella politica del tempo: arcinotoè il disprezzo di Cadorna per i politici suoi contemporanei ed in particolare i giolittiani.
(2) La famosa “libretta” (come si definisce in gergo militare un testo dottrinale) è la trasposizione degli studi fatti da Cadorna nel 1895 allorché si impose la necessità di studiare l’impatto tattico delle nuove armi: checché se ne pensi rimane estremamente attuale e certamente postula concetti molto moderni in particolare di diradamento di unità attaccanti e di impiego dell’artiglieria e delle altre armi: purtroppo oltre a non essere compresa oggi da chi studia la storia non è stata compresa dai contemporanei la cui cultura militare era assai ridotta, in particolare da chi si trovava a servire al fronte e non negli Stati Maggiori. Ancora oggi ben pochi si sono dati la pena di leggerla e ancora meno si sono dati la pena di capirne lo spirito.                                             
(3) ”La speciale “legislazione di guerra”, che lo Stato promulga subito dopo lo scoppio delle ostilità, permette agli industriali di reclutare decine di migliaia di donne senza le usuali garanzie; di concentrarle in stabilimenti spesso inadatti e improvvisarti; di occuparle molte ore del giorno e della notte in dispregio alle norme consuete; di moltiplicare e di generalizzare le ore di lavoro supplementari; di adottare misure di estrema gravità per evitare le assenze individuali e collettive dalle fabbriche, i rifiuti di obbedienza, le minacce; di comminare pene severe anche a donne e a bambini. “Intervento dello Stato nell’economia di guerra in Italia” –Giorgio Porisini – La Nuova Italia- Firenze 1975.
Analoghe legislazioni furono adottate da altre nazioni nel proseguo della guerra , quando apparve chiaro l’inadeguatezza della produzione allo sforzo bellico: in Italia la consapevolezza dei problemi produttivi spinse Cadorna a aquesto tipo di legislazione fin dall’inizio.                    
(4) Robert Georges Nivelle (Tulle, 15 ottobre 1857 – Parigi, 22 marzo 1924) è stato un generale francese della Prima guerra mondiale, che a Verdun sostituì Philippe Petain e condusse l’offensiva franco inglese sulla Chemin de dames provocando la perdita di 350,000 uomini. Nivelle continuò tuttavia a seguire la propria strategia e rifiutò di dimettersi anche quando l'esercito iniziò ad ammutinarsi. Fu destituito il 15 maggio
1917 e rimpiazzato da Pétain, che riuscì a restituire alle forze francesi la capacità di combattere
(5) Joseph Jacques Césaire Joffre (Rivesaltes, 12 gennaio 1852 – Parigi, 3 gennaio 1931) è stato Capo di Stato Maggiore dell’esercito francese dal 1911 al 1916.La sua visione tattica della battaglia generò gli scontri della Marna e Vedun che gli costò il comando dell’esercio francese a favore di Nivelle.Pur agendo su terreni decisamente più agevoli delle Alpi fu incapace di focalizzare gli sforzi e concentrare il fuoco in modo che le sue offensive in Alsazia Lorena avessero successo. Il famoso piano XII pianificato dai francesi fin dai tempi di pace (contrariamente a Cadorna che dovette ripianificare tutto in pochissimi mesi) fallì miseramente per le sottovalutazioni del nemico (errata valutazione dell’intelligence).
(6) Douglas Haig , I conte Haig (Edimburgo, 19 giugno 1861 – Londra, 28 gennaio 1928) è stato un generale britannico, comandante durante la Prima guerra mondiale della British Expeditionary Force (BEF) durante la battaglia della Somme e la battaglia di Passchendaele. Diresse molte delle campagne britanniche, compresa la parte avuta nella battaglia della Somme, in cui le forze sotto il suo comando subirono oltre trecentomila perdite, con un piccolo guadagno territoriale, e la battaglia di Passchendaele. Le tattiche seguite da Haig in queste battaglie furono oggetto di controversie e tutt’oggi la battaglia della Somme è considerata dagli storici inglesi come la più sanguinosa sconfitta britannica. Tenuto conto della differenza dell’ambiente naturale in cui la BEF operava confronto di quello italiano le perdite britanniche sicuramente si possono dire superiori a quelle italiane.
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