giovedì 22 novembre 2018

Lussorio Cau, luci ed ombre ("Lussorio Cau, l'eroe di Morgogliai" di Michele Di Martino )

di Ettore Martinez

Il libro di cui vedete la foto di copertina, uscito quasi dieci anni fa (nel 2009) in una collana della Nuova Sardegna - che poi è una ristampa, col titolo modificato di una precedente edizione stampata tre anni prima- è oggi praticamente introvabile. Vi si ricostruisce la vita professionale del carabiniere a cavallo di Borore Lussorio Cau, uno dei protagonisti sul campo della lotta al banditismo sardo di fine Ottocento. Rispetto al quale l'autore del libro, un altro carabiniere, si preoccupa, con precisione storica di farci ben capire quanto poco ci fosse di romantico nelle figure sanguinarie dei briganti e delle loro famiglie e quanto costassero i loro privilegi alla popolazione in termini di libertà personale e di beni materiali. Questo va sottolineato perché ancora oggi certi residui di questo genere continuano a vivacchiare. Se poi andiamo a leggerci "Storia della Mafia" di Salvatore Romano finiamo per imbatterci grosso modo nelle stesse testimonianze storiche e nelle stesse considerazioni a proposito di una certa mitologia alla "Robin Hood". La carriera di Lussorio Cau è un susseguirsi di promozioni e decorazioni tutte guadagnate rischiosamente sul campo. L'episodio per il quale maggiormente viene ricordato è lo scontro a fuoco di Morgogliai (Orgosolo) durante il quale una spedizione da lui organizzata (per quanto non comandata, visto che allora era un "semplice" brigadiere), composta da carabinieri e soldati di fanteria circondò il covo di una pericolosissima banda e la sgominò dopo un intenso conflitto a fuoco. Leggendo le ricostruzioni ci si rende subito conto che tutti gli attori del dramma avevano un'ottima mira e che non ci fu quartiere. Al primo colpo sparato dal bandito di guardia, Cau resta con la giubba perforata e il bandito viene colpito dal colpo del carabiniere. Sul terreno resteranno morti e feriti. Un bandito riuscirà, ferito, a scappare, per morire di lì a poco in altro conflitto a fuoco. Il covo, considerato inaccessibile, era stato individuato da Lussorio Cau che, travestito da bandito, era riuscito in precedenza a infiltrarsi nella banda. Ma non vi racconteremo il libro: gli interessati potranno, come ho fatto io, cercare di procacciarsene una copia e reperire del materiale su Internet. Ci soffermeremo però su di un altro episodio a nostro avviso significativo che lo vide protagonista, durante la Grande Guerra al fronte quando, ormai ufficiale, comandava un plotone di carabinieri addetti a vari compiti, fra i quali c'era anche la repressione dello spionaggio. In tale veste scoprì e smantellò nel Friuli una rete spionistica piuttosto numerosa che faceva riferimento ad un parroco. C'è da dire che episodi di questo genere sono stati tutt'altro che rari. In Veneto se ne contano parecchi. La cosa è comprensibile se si tiene presente che fino al 1866 la zona era territorio imperiale ultracattolico asburgico. Leggendo "La battaglia dei generali" di Gaspari (qui recensito sia dal col. Mauro Scorzato che dal sottoscritto) ci si imbatte in relazioni di ufficiali che raccontano di civili che durante lo sfondamento di Caporetto indirizzavano o guidavano le truppe d'assalto austro-tedesche. D'altra parte se la Chiesa era filo-austriaca, i socialisti trentini erano filioitaliani e fornivano informazioni al nostro spionaggio. Di tutto questo il col. Michele Di Martino (ora in pensione) non parla, limitandosi a citare sobriamente l'episodio che vide protagonista Lussorio Cau. Bel libro questo di Di Martino, di grande apertura mentale e rigorosa metodologia storica; sobrio, forse anche troppo stringato in certi passaggi -tipico questo dei militari- che avremmo voluto maggiormente descritti. Una domanda sorge spontanea: come mai questo libro non è stato ristampato da nessuno per il bicentenario dell'Arma, che pure produce una quantità di testi non tutti sempre del valore documentario di questo? Lo stesso Di Martino si chiedeva al momento di pubblicare il suo libro il perché del relativo silenzio su Lussorio Cau. La ragione assai probabilmente può essere la stessa presa in considerazione da Di Martino: sulla figura di Cau pesa ancora la sua partecipazione all'infame Tribunale Speciale fascista. 
Michele di Martino si sforza appassionatamente di dimostrare in questo suo libro come non solo l'ormai già colonnello dei Reali Carabinieri a riposo fosse tutt'altro che entuasiasta dell'incarico piovutogli addosso di giudice di questo triste Tribunale -proprio quando pensava di godersi, ormai avanti negli anni, un meritato riposo nella casetta di campagna che aveva acquistato in Sicilia- ma anche il fatto che abbia tentato di sottrarsi all'incarico senza riuscirci. La sua domanda in tal senso fu infatti respinta dal presidente di questo organo, un altro sardo, il generale Carlo Sanna, meglio conosciuto in Sardegna come "babbu mannu". Il quale peraltro, quando si troverà lui in un personale conflitto di coscienza, non mancherà di dare forfait. Questa partecipazione costerà molto cara a Lussorio Cau perché a partire dalle epurazioni antifasciste del luglio 1944 e sino all'amnistia di Togliatti del giugno 1946, si vedrà limitato nella libertà (sorvegliato, ironia della sorte, proprio dai carabinieri) e privato persino della pensione. Con l'amnistia gli sarà poi possibile tornare alla vita normale. A differenza di tanti fascisti o simpatizzanti a vario titolo compromessisi col regime, fa notare Di Martino, Cau continuò a godere della stima generale e anche, trovandosi in ristrettezze economiche, della solidarietà materiale di chi gli stava intorno. Finalmente nel 1949 , dopo non poche tribolazioni, vista la burocrazia e i suoi tempi (di allora, s'intende!), gli sarà possibile riavere pensione e arretrati. Ciò fu possibile grazie all'interessamento personale del segretario personale del Ministro della Difesa , Bernardino (Dino) Roberto, a suo tempo condannato proprio dal Tribunale di cui era membro giudicante Lussorio Cau a dieci anni di reclusione in quanto membro di Giustizia e Libertà. Roberto comunicherà personalmente questo dettaglio alla moglie di Cau per iscritto. Di Martino lamenta nel suo libro uscito nel 2009 (e penso già nell'edizione del 2006) che non si sia tenuto nel debito conto del fatto che per il coraggioso e sagace carabiniere di Borore disobbedire a un ordine, per quanto sgradito, non rientrava proprio nell' orizzonte mentale. In quegli anni i carabinieri, fedeli al re, dovevano esserlo anche al suo capo del governo e Duce e al col. Lussorio Cau, già nominato in precedenza per giunta Console della Milizia fascista -nonostante avesse superato i limiti di età e non potesse risiedere a Roma- non passò neanche per la testa l'idea di disobbedire e rifiutare l'incarico in maniera netta. L'appassionata difesa di Di Martino non lascia certamente indifferenti ma (senza bisogno di citare il comportamento tenuto da Socrate in situazione analoga), ci caliamo anche nell'orizzonte mentale degli anti-fascisti di allora e di oggi: Cau, per esempio, aveva fatto parte di quello stesso collegio giudicante che aveva ratificato la condanna a morte già decisa dal Duce (come tutte le altre, del resto) per l'anarchico sardo Michele Schirru (accusato di avere "pensato" a un attentato a Mussolini e poi incastrato dall' OVRA nel momento in cui stava per andarsene da Roma avendo già cambiato idea) e irrogato pesantissime pene detentive, fra gli altri, a un Sandro Pertini. Tuttavia l'amnistia voluta dal governo De Gasperi e firmata da Togliatti avrebbe proprio voluto aprire una nuova fase di riconciliazione. Quindi gli uomini di allora, quelli che erano stati perseguitati dalla dittatura, chiusero anche quella vicenda. Sarà però la guerra fredda a irrigidire nuovamente le contrapposizioni delle quali vediamo ancora oggi dei portati inerziali, a volte salutari a volte no. Per quanto ci riguarda, nel nostro piccolo, pensiamo che, comunque, il libro di Di Martino (il quale mi dicono si è ormai congedato con il grado di generale dei CC e vive proprio in Sardegna) andrebbe ristampato, magari anche in un' edizione ampliata. Ancora una volta ci piace fare riferimento a Herder: "... nulla nela storia è semplice mezzo; nulla vi è in essa che vada valutato soltanto per ciò a cui serve e non per ciò che è" (Cassirer). In altri termini, l'esperienza di quell'ignobile Tribunale non conclude (neanche cronologicamente) e non "invera"; non ci pare affatto che dia significato a tutta la vita di Cau.





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