giovedì 4 aprile 2019

IL FENOMENO DELLE ESECUZIONI SOMMARIE NEL PRIMO CONFLITTO MONDIALE 

di Mauro Scorzato


Alberto Monticone1, il più autorevole studioso della giustizia militare durante il primo conflitto mondiale, ci riporta che in quel periodo furono comminate dai tribunali militari circa 4000 condanne a morte di cui 750 eseguite. Tale numero non comprende le “esecuzioni sommarie”, ovverosia le esecuzioni avvenute per ordine dell’autorità militare sul campo, di militari colpevoli o “sorteggiati” come tali, non sottoposti al giudizio della giustizia militare. L’analisi delle condanne effettuate dai Tribunali deve per forza di cose essere effettuata da esperti del diritto e della giurisprudenza, pena il ricadere in discussioni più adatte alle trasmissioni pomeridiane di Barbara d’Urso che non ad un discorso di storia militare. Le esecuzioni sommarie invece si prestano maggiormente ad una traduzione in termini moderni in quanto totalmente, come vedremo, avulse da quello che è il concetto moderno della giurisprudenza.

1 Alberto Monticone, Il regime penale nell’Esercito Italiano durante la prima guerra mondiale, Gli Italiani in uniforme, 1915-18, Intellettuali, borghesi e disertori

Nel conflitto del 15-18 vigeva il “codice penale per l’Esercito” (la Regia Marina si avvaleva di una diversa regolamentazione) edito nel 1869; l’obbligo di reagire con la soppressione per impedire i reati  collettivi (e talvolta individuali) contro la disciplina, definiti di codardia, era sancito dall’art. 40, che imponeva a qualsiasi persona che rivestisse un grado di reagire contro l’abbandono del posto di combattimento, sbandamento, mancata possibile offesa (tipo il rifiuto di aprire il fuoco contro il nemico), rifiuto di marciare contro il nemico, rifiuto di compiere un servizio di guerra, rivolta, ammutinamento (la differenza tra la prima e il secondo è la presenza delle armi in mano ai colpevoli), forzata consegna, vie di fatto a mano armata contro sentinella o vedetta, attacco o resistenza alla forza armata, diserzione con complotto, ribellione alla giustizia, saccheggio, ammutinamento e rivolta di prigionieri. Condizione necessaria per l’esecuzione sommaria era la flagranza del reato; la “decimazione” (la designazione per sorteggio) era considerata legale quando il comandante non fosse riuscito ad individuare con certezza gli autori del delitto all’interno del reparto, ma fosse necessaria la repressione immediata del reato e sempre che il comandante ritenesse troppo sanguinosa la condanna di tutti i partecipanti. Sempre l’articolo imponeva che il sorteggio fosse preceduto da un coscienzioso accertamento delle colpe, estendendosi anche a coloro su cui gravavano semplici presunzioni o vaghi indizi o nessun sintomo di colpevolezza.
Tuttavia è l’art. 117 la chiave di volta dell’intera architettura: infatti esso puniva con le stesse pene (compresa la pena capitale) il militare che, presente ad un ammutinamento od a una rivolta, non facesse uso di tutti gli strumenti a sua disposizione per impedirla (fermarla o frenarla); in altre parole la reazione con le vie di fatto a tali tipi di reato non era solo consentita bensì imposta  sotto minaccia di soggiacere alla stessa pena. Ad informazione del lettore, anche  oggi il Codice Penale Militare prevede lo stesso (soggiacere alla stessa pena, capitale fino al 1985 in caso di omicidi compiuti al seguito) per i reati di collettivi contro la disciplina.
Ma da dove proveniva tale cura nel prevenire e reprimere tale tipo di reati? L’Esercito Italiano a cui faceva riferimento il codice penale del 1869 era un esercito    in cui erano confluite molteplici componenti ereditate dalle guerre del Risorgimento: ex repubblicani (ad esempio Garibaldini), spezzoni di eserciti di Stati annessi, tipo l’esercito delle due Sicilie, i cui componenti erano considerati ancora più infidi degli stessi repubblicani, visti i sanguinosi episodi in cui erano sfociate le rivolte contro la presenza di ufficiali “piemontesi”. La coscrizione obbligatoria, con cui si era cercato di risolvere il problema di fare “gli italiani”, non era entrata in esercizio  senza problemi: omicidi  e stragi furono abbastanza comuni nelle caserme dell’esercito post-unitario in particolare del ventennio 70-80. Tanto che quando Perocchetti postulò alla fine degli anni ’70  la creazioni di reggimenti con coscritti provenienti dalla stessa valle (gli Alpini) venne così commentato da un generale piemontese; [1]“se lo attuassimo non passerebbero sei mesi e i reggimenti romagnoli darebbero i pronunciamenti” .
Certamente quindi l’esercito che si apprestava a condurre il Primo conflitto mondiale era ben lungi dall’essere un esempio di coesione e saldezza adamantina, tenendo conto dei precedenti non assolutamente incoraggianti. L’impiego, con ingenti spese, delle truppe in Africa e quello contro i milanesi in occasione dei moti del 1898, certo non avevano contribuito a generare un facile ambiente. Cadorna se ne rese conto immediatamente e già la circ. n.1 del 24 Maggio 1915 (primo giorno di guerra) riteneva i comandanti di grandi unità responsabili qualora avessero indugiato, qualora il caso lo richiedesse, ad applicare misure estreme di coercizione e repressione.
Tuttavia la domanda di quanto fossero state  effettivamente le esecuzione sommarie durante il periodo rimane.
L’Ufficio per la giustizia militare nell’estate del ’19 ne elenca 141 mentre in un discorso al parlamento, l’on. Luciani ne indica 148 comprese delle 34 generate dal Gen. Graziani durante la ritirata di Caporetto, ma tali cifre sono largamente sottostimate. Il Pelagalli[2] indica due fonti ritenute più attendibili: una è il Faldella (del quale si parla più sotto), l'altra è la “relazione dell’Avvocato Generale Militare Donato Antonio Tommasi[3] che individua 183 esecuzioni sommarie di cui 64 classificate come “giustificate”(ovverosia compiute sulla base della vigente normativa), 8 “ingiustificate” e il rimanente non classificabili a causa di mancanza di dettagli o perché approvate incondizionatamente dai superiori che avevano esaminato il caso e quindi non perseguibili. Anche il Monticone (op. cit.) produce una lista largamente coincidente con quella di Tommasi e con una prodotta da Filippo Cappellano (Disciplina e giustizia militare nell’ultimo anno della grande guerra- Storia Militare n. 98, anno 2001). La Tabella di seguito ne indica il raffronto:




[1] Cfr. G. ROCHAT, G. MASSOBRIO, Breve storia dell’esercito italiano
[2] Sergio Pelagalli, Esecuzioni sommarie durante la Grande Guerra
[3] Donato Antonio Tommasi, Avvocato generale militare a ministro della Guerra, settembre 1919 (minuta non riportante la data di invio), oggetto “Esecuzioni Sommarie”, risposta a nota n.368 del 28 luglio 1919 presso Museo del Risorgimento -Milano

Anno
Mese
Monticone
Cappellano
1915
ottobre
1
1
1916
febbraio
2
2
maggio
11
11
giugno
1
7
luglio
9
9
agosto
5
5
ottobre
7
7
novembre
1
1
1917
Marzo
0
7
Maggio
5
5
Giugno
20
20
Luglio
28
28
Agosto
2
2
Settembre

7
novembre
49


141
112

Il Pelagalli integra le tabelle includendo altri procedimenti arrivando così ad una cifra approssimativa di 241 esecuzioni sommarie, riportando eventi narrati  dal Gatti e dall Faldella (altra fonte utilizzata dal Pelagalli) nonché atti ufficiali dei tribunali militari[1]; vengono inclusi anche episodi in cui alcuni  disertori vengono abbattuti dal fuoco dei commilitoni, tipo di evento, questo,  non precedentemente contemplato, arrivando così alla seguente tabella che allega al suo saggio




[1] Angelo Gatti, Caporetto. Dal diario di guerra inedito 1917 Bologna 1964
Emilio Faldella , La grande Guerra, volume II, Da Caporetto  al Piave Milano 1965



Nessun commento:

Posta un commento

"Comandante", una recensione (2023) di Antonello Ruscazio del film di E. De Angelis

  Una recensione di Antonello Ruscazio " Comandante " film del 2023 diretto da Edoardo De Angelis                            ...