IL FENOMENO DELLE ESECUZIONI SOMMARIE NEL PRIMO CONFLITTO MONDIALE
di Mauro Scorzato
Alberto Monticone1, il più autorevole studioso della giustizia militare durante il
primo conflitto mondiale, ci riporta che in quel periodo furono comminate dai
tribunali militari circa 4000 condanne a morte di cui 750 eseguite. Tale numero
non comprende le “esecuzioni sommarie”, ovverosia le esecuzioni avvenute per
ordine dell’autorità militare sul campo, di militari colpevoli o “sorteggiati”
come tali, non sottoposti al giudizio della giustizia militare. L’analisi delle
condanne effettuate dai Tribunali deve per forza di cose essere effettuata da
esperti del diritto e della giurisprudenza, pena il ricadere in discussioni più
adatte alle trasmissioni pomeridiane di Barbara d’Urso che non ad un discorso
di storia militare. Le esecuzioni sommarie invece si prestano maggiormente ad
una traduzione in termini moderni in quanto totalmente, come vedremo, avulse da
quello che è il concetto moderno della giurisprudenza.
1 Alberto Monticone, Il regime penale nell’Esercito Italiano durante la prima guerra mondiale, Gli Italiani in uniforme, 1915-18, Intellettuali, borghesi e disertori
Nel conflitto
del 15-18 vigeva il “codice penale per l’Esercito” (la Regia Marina si
avvaleva di una diversa regolamentazione) edito nel 1869; l’obbligo di reagire
con la soppressione per impedire i reati
collettivi (e talvolta individuali) contro la disciplina, definiti di
codardia, era sancito dall’art. 40, che imponeva a qualsiasi persona che
rivestisse un grado di reagire contro l’abbandono del posto di combattimento, sbandamento,
mancata possibile offesa (tipo il rifiuto di aprire il fuoco contro il nemico),
rifiuto di marciare contro il nemico, rifiuto di compiere un servizio di
guerra, rivolta, ammutinamento (la differenza tra la prima e il secondo è la
presenza delle armi in mano ai colpevoli), forzata consegna, vie di fatto a
mano armata contro sentinella o vedetta, attacco o resistenza alla forza
armata, diserzione con complotto, ribellione alla giustizia, saccheggio,
ammutinamento e rivolta di prigionieri. Condizione necessaria per l’esecuzione
sommaria era la flagranza del reato; la “decimazione” (la designazione per
sorteggio) era considerata legale quando il comandante non fosse riuscito ad
individuare con certezza gli autori del delitto all’interno del reparto, ma
fosse necessaria la repressione immediata del reato e sempre che il comandante
ritenesse troppo sanguinosa la condanna di tutti i partecipanti. Sempre
l’articolo imponeva che il sorteggio fosse preceduto da un coscienzioso
accertamento delle colpe, estendendosi anche a coloro su cui gravavano semplici
presunzioni o vaghi indizi o nessun sintomo di colpevolezza.
Tuttavia è
l’art. 117 la chiave di volta dell’intera architettura: infatti esso puniva con
le stesse pene (compresa la pena capitale) il militare che, presente ad un
ammutinamento od a una rivolta, non facesse uso di tutti gli strumenti a sua
disposizione per impedirla (fermarla o frenarla); in altre parole la reazione con
le vie di fatto a tali tipi di reato non era solo consentita bensì imposta sotto minaccia di soggiacere alla stessa
pena. Ad informazione del lettore, anche
oggi il Codice Penale Militare prevede lo stesso (soggiacere alla stessa
pena, capitale fino al 1985 in
caso di omicidi compiuti al seguito) per i reati di collettivi contro la
disciplina.
Ma da dove proveniva tale cura nel prevenire e
reprimere tale tipo di reati? L’Esercito Italiano a cui faceva riferimento il
codice penale del 1869 era un esercito in cui erano confluite molteplici componenti
ereditate dalle guerre del Risorgimento: ex repubblicani (ad esempio
Garibaldini), spezzoni di eserciti di Stati annessi, tipo l’esercito delle due
Sicilie, i cui componenti erano considerati ancora più infidi degli stessi
repubblicani, visti i sanguinosi episodi in cui erano sfociate le rivolte
contro la presenza di ufficiali “piemontesi”. La coscrizione obbligatoria, con
cui si era cercato di risolvere il problema di fare “gli italiani”, non era
entrata in esercizio senza problemi: omicidi e stragi furono abbastanza comuni nelle
caserme dell’esercito post-unitario in particolare del ventennio 70-80. Tanto
che quando Perocchetti postulò alla fine degli anni ’70 la creazioni di reggimenti con coscritti
provenienti dalla stessa valle (gli Alpini) venne così commentato da un
generale piemontese; [1]“se
lo attuassimo non passerebbero sei mesi e i reggimenti romagnoli darebbero i pronunciamenti”
.
Certamente
quindi l’esercito che si apprestava a condurre il Primo conflitto mondiale era
ben lungi dall’essere un esempio di coesione e saldezza adamantina, tenendo
conto dei precedenti non assolutamente incoraggianti. L’impiego, con ingenti
spese, delle truppe in Africa e quello contro i milanesi in
occasione dei moti del 1898, certo non avevano contribuito a generare un facile ambiente. Cadorna se
ne rese conto immediatamente e già la circ. n.1 del 24 Maggio 1915 (primo
giorno di guerra) riteneva i comandanti di grandi unità responsabili qualora
avessero indugiato, qualora il caso lo richiedesse, ad applicare misure estreme
di coercizione e repressione.
Tuttavia la domanda di quanto fossero state effettivamente le esecuzione sommarie durante
il periodo rimane.
L’Ufficio per la giustizia militare nell’estate del ’19 ne
elenca 141 mentre in un discorso al parlamento, l’on. Luciani ne indica 148
comprese delle 34 generate dal Gen. Graziani durante la ritirata di Caporetto,
ma tali cifre sono largamente sottostimate. Il Pelagalli[2] indica due
fonti ritenute più attendibili: una è il Faldella (del
quale si parla più sotto), l'altra è la “relazione
dell’Avvocato Generale Militare Donato Antonio Tommasi[3] che individua
183 esecuzioni sommarie di cui 64 classificate come “giustificate”(ovverosia
compiute sulla base della vigente normativa), 8 “ingiustificate” e il rimanente
non classificabili a causa di mancanza di dettagli o perché approvate
incondizionatamente dai superiori che avevano esaminato il caso e quindi non
perseguibili. Anche il Monticone (op. cit.) produce una lista largamente
coincidente con quella di Tommasi e con una
prodotta da Filippo Cappellano (Disciplina e giustizia militare nell’ultimo
anno della grande guerra- Storia Militare n. 98, anno 2001). La Tabella di seguito ne
indica il raffronto:
[1]
Cfr. G. ROCHAT, G. MASSOBRIO, Breve storia dell’esercito italiano,
[2]
Sergio Pelagalli, Esecuzioni sommarie
durante la Grande Guerra
[3]
Donato Antonio Tommasi, Avvocato generale
militare a ministro della Guerra, settembre 1919 (minuta non riportante la data
di invio), oggetto “Esecuzioni Sommarie”, risposta a nota n.368 del 28 luglio
1919 presso Museo del Risorgimento -Milano
Anno
|
Mese
|
Monticone
|
Cappellano
|
1915
|
ottobre
|
1
|
1
|
1916
|
febbraio
|
2
|
2
|
maggio
|
11
|
11
|
|
giugno
|
1
|
7
|
|
luglio
|
9
|
9
|
|
agosto
|
5
|
5
|
|
ottobre
|
7
|
7
|
|
novembre
|
1
|
1
|
|
1917
|
Marzo
|
0
|
7
|
Maggio
|
5
|
5
|
|
Giugno
|
20
|
20
|
|
Luglio
|
28
|
28
|
|
Agosto
|
2
|
2
|
|
Settembre
|
7
|
||
novembre
|
49
|
||
141
|
112
|
Il Pelagalli
integra le tabelle includendo altri procedimenti arrivando così ad una cifra
approssimativa di 241 esecuzioni sommarie, riportando eventi narrati dal Gatti e dall Faldella (altra
fonte utilizzata dal Pelagalli) nonché atti ufficiali dei tribunali militari[1];
vengono inclusi anche episodi in cui alcuni
disertori vengono abbattuti dal fuoco dei commilitoni, tipo di evento, questo,
non precedentemente contemplato, arrivando
così alla seguente tabella che allega al suo saggio
[1]
Angelo Gatti, Caporetto. Dal diario di
guerra inedito 1917
Bologna 1964
Emilio Faldella , La grande Guerra,
volume II, Da Caporetto al Piave Milano
1965
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