una nota di Ettore Martinez
Emerge così un'impresa di Fiume dalle variegate componenti e partecipazioni che non può essere ridotta semplicemente al fatto (innegabile) che, finita la Grande Guerra, ci fossero persone che volevano prolungarne l'atmosfera perché incapaci di adattarsi ad una vita normale. Sicuramente già si faceva sentire il risentimento dei ceti medi, dell'arditismo e dell'ufficialità congedata che si vedevano abbassati di status e non adeguatamente ri-conosciuti per la guerra che avevano sostenuto.
Ma Spinosa centra il suo discorso piuttosto sul vitalismo esistenziale e sulla trasgressività tutta particolare, propria di certe figure militari che si condensò intorno alla figura di D'Annunzio.
Non a caso si sofferma sulla figura del legionario poeta e scrittore Giovanni Comisso, sulla sua estetica omosessuale ("Fiume, senza gli omosessuali, non avrebbe emanato tanta luce", pag. 6) e sulla sua amicizia cameratesca ed erotica con Guido Keller, personaggio questo quanto mai stravagante dell'entourage di D'Annunzio.
En passant: Keller e Comisso diedero anche vita a un gruppo denominato "Yoga".
Politicamente parlando, il "poeta armato" per un certo periodo fu considerato un "duce" capace di riscattare quell'Italia uscita così malconcia e frustrata dalla guerra. Da chi? Non solo da certi settori dell'industria, che lo sovvenzionarono ma anche da molte componenti politiche e culturali: dal futurista Marinetti, pure così distante dall'estetica dannunziana; dall'anarco-sindacalista Alceste De Ambris, che stilò per fiume una costituzione realmente sbalorditiva (la cosiddetta Carta del Carnaro); dalle élites fiumane che volevano stare dentro il Regno d'Italia; da ampi settori dell'opinione pubblica italiana; da molti militari e intellettuali.
A un certo punto si terrà addirittura una riunione a Milano per prendere in considerazione concretamente l'idea di estendere l'esperienza fiumana a tutta l'Italia. Vi parteciparono, fra gli altri, l'anarchico Errico Malatesta e il leader socialista Giacinto Menotti Serrati, che ritirando l'appoggio del suo partito fece naufragare l'iniziativa.
A Fiume successe di tutto e c'era di tutto (dagli idealisti ai delinquenti comuni) e se è vero che alla fine saranno i Fasci di combattimento di Mussolini a raccogliere -insieme a certe ritualità, parole d'ordine e scenografie- molte delle componenti che si erano raccolte intorno a D'Annunzio, è anche vero che, dopo Fiume, ci furono anche un dannunzianesimo, un reducismo e un arditismo anti-fascisti. Non a caso, quando il poeta si ritirerà in esilio sul Garda, Mussolini incaricherà un Commissario di polizia di tenerlo continuamente e minutamente sotto controllo.
Di D'Annunzio, Spinosa con un misto di equanimità, ironia e critica morale, sottolinea l'impulsività, la retorica, la facilità nel cambiare opinione su cose e persone, la grande confusione politica, l'egocentrismo spesso spietato, il coraggio. Era quella di Fiume di per sé un'impresa che non avrebbe mai potuto avere altri sviluppi.
Questo libro, ancorché datato, come pure il sopraccitato e sicuramente più tecnicamente storico, lavoro di F. Gerra, può aiutare a togliere D'Annunzio da quell'appiattimento sul Fascismo e da una fin troppo facile antiretorica a posteriori di cui è stato vittima.